Le Terre Dietro l'Angolo, Tra Ghiottoni, Trogloditi, Demoni e Polli Volanti, l'avventura del mitico gruppo

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view post Posted on 20/5/2007, 10:26

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

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Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Prologo - Parte 1
B
envenuti nelle Terre Dietro l’Angolo, una zona del Piano Materiale basata su un sistema di destinazioni del tipo: «Sì, sì, è proprio dietro l’angolo!».
È qui che questa storia si svolge, in un mondo governato da forza e magia, abitato da incredibili creature, mostri spietati ed eroi solitari, un mondo in cui sogno e realtà si confondono. È questo il luogo in cui eroi misero in gioco le loro vite per la salvezza di tutto ciò che a loro era caro; è questo il luogo su cui le armate della sofferenza già una volta marciarono, nei tempi antichi, ai tempi della Grande Alleanza. Allora tre eroi di altrettante razze si ersero, e la loro unione spazzò via le armate del Mondo Sotterraneo, dando inizio alla vita quale oggi la conosciamo.
Eppure ancora una volta le forze del male stesero i loro artigli sul mondo, pronte a ghermirlo per sradicarne ogni forma di bellezza ed innocenza; per la seconda volta l’inganno, la sete di potere e l’avidità di alcuni corruppero i cuori dei saldi, e tutto fu nuovamente in pericolo. Ma come tanti anni prima, nuovamente la profezia disegnò lo scheletro di una vicenda destinata ad essere tramandata fino ad oggi, un giorno in cui la magia è inevitabilmente perduta, grazie alle pagine del diario di un Chierico, che raccontano ogni particolare del periodo più oscuro delle Terre Dietro l’Angolo. Tre eroi, di razza umana ma le cui origini li riportano ai grandi antenati dell’era primitiva; nei loro viaggi furono affiancati da numerosi alleati, alcuni fidati ed in gamba, altri infidi e maligni, ma ognuno di loro diede il proprio contributo per la causa da loro perseguita, arrivando a volte a compiere l’estremo sacrificio.
Ecco, ecco a voi che avete la fortuna di leggere la storia più bella ed appassionante che sia mai stata riportata: in questo libro sono racchiuse le anime e gli spiriti di coraggiosi eroi che un dì fatale ci omaggiarono della vita, e salvarono il mondo. Ecco a voi, signori,
Le Terre Dietro l’Angolo.

Dopo un lungo viaggio che li ha portati ad affrontare e a vincere ogni minaccia presentatasi di fronte a loro, e a fuggire da ogni città faticosamente raggiunta pur riuscendo a sopravvivere in ogni occasione, il gruppo formato dal Chierico Dorian Wraiten, dal Guerriero Brottor Veit, dal Ladro Kerwyn Eagleye, dal Bardo Joif Thoriandrif, dal Ranger Xanter “Alopex” Saverem, dal Druido Galdor accompagnato dal suo fidato compagno lupo, e dallo Stregone Avaluis, detto il Fireball Caster, giunge finalmente nella città natale di Xanter, il villaggio sugli alberi chiamato Zesterlick, dove si ferma a riposare dopo il lungo viaggio affrontato: il possente Veit, abile Guerriero ed imponente baluardo del gruppo, dopo aver alloggiato nelle stanze, si diparte dal gruppo in cerca di una fucina ove ritemprare la sua magnifica lama, scalfita da innumerevoli scontri. Purtroppo però, il loro riposo ha breve durata, poiché il motivo che li ha spinti così a nord è un anziano e potente Druido che ivi abita: egli è il solo in grado di rendere a Galdor i poteri druidici ormai perduti.
Kerwyn e Xanter, non sentendo il bisogno di riposare, decidono di precedere il loro compagno, quindi si recano a far visita al Druido da soli. Trovare la sua abitazione è alquanto semplice, dato che tutti gli abitanti lo conoscono e lo ammirano, ma una volta raggiunta vengono accolti da una vecchia Elfa che non permette loro di far visita al suo padrone; trovando la cosa un po’ anomala, i due compagni decidono di entrare di nascosto, per cui Xanter intrattiene la vecchia narrandole storie intricate riguardo un suo ipotetico nipote mai conosciuto, mentre Kerwyn ne approfitta per intrufolarsi di soppiatto in casa, e dare un’occhiata.
Appena entrato, il Ladro si guarda intorno per decidere dove dirigersi come prima meta, quindi opta per un corridoio di mattoni che sembra girare attorno alla casa: appena iniziato a percorrerlo, però, i suoi occhi notano una leggera sporgenza nel muro, proprio in corrispondenza d’una rampa di scale che porta al piano superiore dell’abitazione. Vi si avvicina dunque con circospezione, e nel giro di pochi secondi le sue abili mani attivano un meccanismo nascosto, sbloccando una scala segreta occultata dietro la parete. Scende i gradini silenziosamente, giungendo in una vasta sala dotata d’un alto soffitto: nella stanza non v’è nulla, eccetto due semplici leve che sporgono dal muro.
“Beh, sono arrivato fin qui...” pensa tra sé l’abile Ladro, “tanto vale proseguire”; detto ciò, afferra la leva di sinistra e la abbassa. Un rumore d’ingranaggi in movimento affolla d’improvviso la stanza, e troppo tardi Kerwyn nota che un muro cala dal soffitto a sbarrargli l’unica via di fuga; nel contempo, diversi fori della larghezza d’un pugno umano si schiudono sui muri, a circa tre metri dal suolo, da cui sgorgano inarrestabili fiumi d’acqua, al seguito dei quali spuntano, con immenso orrore di Kerwyn, delle murene elettriche: la loro preda è fin troppo esposta, ed esse impiegano poco a circondarlo ed assalirlo con inaudita ferocia. Il panico prende il sopravvento nella mente del Ladro, spazzando via la ragione, ed egli perde il controllo della situazione; tuttavia il forte dolore è un deterrente adeguato, e Kerwyn riesce a trovare sufficiente prontezza di riflessi da raggiungere una delle travi del soffitto, con l’ausilio del suo fidato rampino. Ivi, all’asciutto ed al sicuro dai denti delle murene, raccoglie la concentrazione per pensare ad un modo di uscire da quella brutta situazione; l’acqua intanto continua a sgorgare dai muri, ed il suo livello nella sala cresce rapidamente. Kerwyn sa che è solo una questione di tempo prima che raggiunga il soffitto, dopodiché sarà perduto: decide dunque di compiere un ultimo, disperato tentativo di salvarsi la vita. Lasciati tutti i suoi oggetti sulla colonna, eccetto il rampino e due pugnali, si tuffa in acqua e tenta di raggiungere a nuoto il fondo della stanza; subito le murene gli sono attorno, colpendolo ripetutamente mentre le sue bracciate disperate lo portano sempre più vicino alle leve. Alla fine però il dolore ha il sopravvento sul coraggioso Umano, che si arrende al suo crudele, ineluttabile destino.
“Strano, è ormai molto tempo che è lì dentro. Potrebbe essergli accaduto qualcosa” pensa Xanter, mentre continua ad inventare storie assurde a cui la signora crede ciecamente; “non posso restare qui, ma non posso nemmeno entrare da solo. Sarà meglio che avvisi gli altri!”, quindi volta le spalle alla vecchia senza aggiungere un’altra parola, e corre alla locanda, dove trova Dorian e Galdor. Spiegata velocemente la situazione, il Ranger torna all’abitazione del Druido seguito dai suoi due compagni: giunti sul posto, ignorano la vecchia che tenta di tenerli fuori ed entrano. All’interno, notano la presenza di un rigagnolo d’acqua che scorre, giungendo da uno dei tanti corridoi; seguendolo, arrivano alfine innanzi alla scalinata segreta, scoprendola interamente sommersa dall’acqua. Intuendo ciò che potrebbe essere accaduto, Xanter e Galdor s’immergono subito, sperando di non essere arrivati troppo tardi; Dorian, troppo appesantito per poter nuotare, li attende sul pianerottolo, coprendo loro le spalle.
I due compagni riemergono poco dopo, portando con loro il corpo senza vita di Kerwyn ed il suo zaino, bagnato ma intatto; il Chierico assicura loro che avrebbero trovato una soluzione pur di rimediare alla perdita del loro compagno, e i tre si apprestano ad uscire, ma dal piano superiore piomba davanti a loro un anziano sorprendentemente arzillo, che domanda spiegazioni riguardo ciò che è appena accaduto in casa sua. Xanter racconta la vicenda, spiegando anche il motivo primevo che li ha spinti fino alla dimora del Druido, mentre questi ascolta in silenzio; terminato il racconto, acconsente a restituire a Galdor i suoi antichi poteri druidici, ma prima li obbliga a svuotare la sua cantina da tutta quell’acqua.
Il lavoro è incredibilmente lungo e spossante, ma i giovani, servendosi delle loro Borse Conservanti, riescono a portarlo a termine in alcune ore; il vecchio Druido allora dice loro che intercederà con la Natura affinché perdoni i peccati compiuti da Galdor e lo riammetta nella famiglia druidica, ma egli dovrà dimostrare di avere a cuore i suoi interessi, portando a termine una missione adatta allo scopo.
Più tardi, il gruppo quasi completo si aggira nella foresta limitrofa, guidato da un Galdor molto eccitato all’idea di poter nuovamente manipolare le immense energie della Natura; Veit purtroppo, resosi irreperibile, non li accompagna in questa singolare caccia. Dorian, intanto, pensava alle parole che il vecchio Druido aveva riferito loro poco prima: «Nella foresta si aggira da tempo un mostro molto pericoloso, che distrugge gli alberi e divora gli animali per placare la sua insaziabile fame. La sua presenza qui sta distorcendo l’equilibrio naturale, quindi dev’essere eliminato; contavo di farlo io, ma ora che sei arrivato tu è diventato il tuo compito: salva la natura ed essa ti ricompenserà. Naturalmente i tuoi amici possono aiutarti; ora và, e buona fortuna».
La descrizione che il vecchio fornisce loro è quella di una creatura pressappoco della stazza d’un Troll adulto, dotata di uno spesso carapace osseo che le ricopre interamente il dorso, come nei crostacei; dalla bocca, posta sulla cima del largo torace, pendono rossi tentacoli prensili, molto pericolosi poiché il mostro se ne serve per spargere la sua bava sulle prede, le quali dopo il contatto rimangono paralizzate. Dal tronco, infine, spuntano due larghi bracci che terminano con possenti chele delle dimensioni d’un bambino, in grado di spaccare quasi ogni cosa che stringono. Normalmente, creature del genere non abitano foreste o pianure, preferendo luoghi più umidi e bui, ma uno di essi si è spinto per qualche motivo sin qui, e va fermato prima che i danni diventino troppi per essere sanati.
Il Chierico si sente stranamente inquieto, come se un presentimento cercasse di metterlo in guardia contro qualche pericolo imprevisto. Tuttavia continua ad avanzare, tenendo i suoi dubbi celati ai compagni.
Mentre si aggirano tra gli alberi, l’operato del Chuul si manifesta loro in tutta la sua brutalità: decine di alberi sono stati sradicati, ed occupano ora la terra, le foglie che iniziano ad ingiallire. Accanto alle fronde spezzate, innumerevoli carcasse di animali d’ogni genere giacciono, spolpate fino alle ossa. Cupe strisce di sangue imbrattano ogni corteccia, ogni singolo filo d’erba: lo spettacolo è invero raccapricciante.
Sul volto di Galdor si posa una cupa ombra, mentre il suo sguardo contempla orripilato la distruzione ed il dolore che una sola creatura ha arrecato alla natura. «Non lo perdonerò» mormora a denti stretti, quindi affretta il passo, marciando deciso in direzione della scia di morte lasciata dalla sua preda, la Scimitarra stretta tra le sue mani. Dopo poco tempo, finalmente giungono al cospetto del Chuul, ma uno stupore misto a terrore si delinea sui loro volti: la creatura che davanti a loro è occupata a divorare la carogna di un lupo è ben più imponente di un semplice Troll; tentacoli della larghezza di un braccio umano sono intenti a stringere saldamente il pasto, portandolo all’enorme bocca insaziabile, ricoperta di bava e sangue. Dal monolitico torso poi, due coppie di chele aguzze si muovono frenetiche, forse alla ricerca di altre prede di cui cibarsi.
Gli avventurieri rimangono pietrificati dalla paura, e persino Galdor, prima così deciso, ora vacilla, incapace di decidere la prossima mossa. Improvvisamente però il mostro si volta, ed i suoi piccoli occhi neri si fissano bramosi su di loro; il Chuul si muove quindi in avanti, allungando una delle sue quattro chele in direzione di Galdor, che rimane immobile, la Scimitarra in bilico nella sua mano tremante. Ma prima che la chela possa serrarsi sul suo torace, un grosso scudo la colpisce con violenza sbattendola fuori traiettoria, e Dorian si frappone tra i suoi compagni ed il mostro, fronteggiando quest’ultimo senza timore. «Forza» gli dice, in tono di sfida, «vediamo chi dei due ha la pelle più dura!». Accanto a lui anche Xanter giunge, ed insieme si lanciano all’attacco: i colpi del Chuul, per quanto possenti, vengono deviati efficacemente dallo scudo di Dorian, la cui mazza cala spietata sull’addome del nemico, imitata dalle lame gemelle dell’Elfo: i danni da lui accusati, però, sono irrisori, e la battaglia per qualche tempo sembra giunta ad uno stallo. All’improvviso però una chela scatta fulminea in direzione del Chierico, imitata dalla sua gemella, che colpisce Xanter: nessuno dei due riesce ad evitare l’improvviso contrattacco, e il Ranger viene gettato tra i cespugli; Dorian invece viene afferrato in una stretta morsa assassina, provando immediatamente un dolore lancinante, mentre la chela seghettata gli lacera la carne e gli spezza le costole. Lo sguardo gli si annebbia, e sente le forze abbandonarlo: la mazza e lo scudo gli cadono al suolo, mentre le braccia diventano troppo pesanti per essere controllate. Ma un guizzo di vitalità arde ancora nel cuore del sacerdote guerriero di Kord, che tenta un ultimo attacco disperato: le sue palme si riempiono di energia magica, cupa e spettrale, circondandole con un fuoco nero che brucia di morte; il Chierico allunga quindi il braccio verso il suo bersaglio ignaro, ma inavvertitamente la chela si serra ancora di più, stringendo oltre ogni limite il torace già fracassato. Il dolore è insopportabile, e l’urlo di Dorian è al contempo disperato ed agghiacciante; le energie concentrate nella sua mano si disperdono, non più controllate dalla sua volontà, ed il braccio ricade lungo il corpo straziato. Con l’ultimo alito di vitalità rimastogli, il Chierico mormora: «Sembra... sembra che io abbia perso la sfida...», quindi l’ombra d’un sorriso appare sul suo volto, poi gli occhi si chiudono lenti e la testa gli ricade verso il collo.
Il Chuul lancia un verso molto acuto, e sotto gli occhi atterriti degli avventurieri le sue chele riducono a brandelli il corpo che mantenevano, che sparpagliano in terra come carta al vento. A quella vista, il panico puro s’impadronisce di loro: Joif mormora alcune parole in versi e svanisce sotto gli occhi di tutti, mentre Avaluis, su esortazione di Galdor, rende invisibile anche il Druido; prima che possa fare lo stesso anche a sé però, il Chuul avanza verso di lui, i piccoli occhietti neri fissi nella sua direzione. Lo Stregone non tenta nemmeno di mettersi in salvo, tant’è il terrore che lo attanaglia, e la chela lo colpisce in pieno: il suo corpo vola lontano quasi fluttuando nell’aria, ed il suo movimento ricorda quello d’una bambola di pezza scagliata da un bambino infuriato; il contatto col suolo provoca un tonfo sordo, ed Avaluis lo Stregone non si muove più.
Ancora una volta la creatura lancia un forte grido, quasi un richiamo per i suoi simili, colmo di trionfo e rabbia, che gela il sangue di Xanter, Galdor e Joif; eppure, ad un tratto quest’ultimo si sbarazza della protezione magica, tornando visibile e fronteggiando l’enorme creatura. Questa rimane spiazzata da un simile atto di coraggio, e si limita ad osservare il Bardo, che nel frattempo continua ad avanzare verso di lei; arrivato a circa cinque metri dal Chuul, Joif si ferma, gli lancia un’ultima occhiata colma d’odio, quindi intona un canto: la sua voce si spande tra gli alberi, sovrastando ogni altro suono, e ben presto vibra nell’aria, riflessa più e più volte. Il suono melodioso cattura gli animi di chiunque l’ascolti, ed i suoi due compagni dimenticano completamente il pericolo, restando ad ascoltare incantati quella voce così limpida e travolgente; persino il gigantesco Chuul presta attenzione al sublime suono che le sue orecchie odono, dimenticando l’insaziabile fame che sempre lo rode. Alla fine del canto, però, il mostro è talmente affascinato da Joif da non volersene più separare, e tenta di afferrarlo: il Bardo inizia a fuggire in preda a rinnovato terrore inseguito dal Chuul, realizzando di aver peggiorato ulteriormente la sua situazione.
Ma all’improvviso qualcosa accade: Galdor si ferma allarmato, mentre verdi fasci d’energia si sprigionano dalla terra, dalle nubi e dai tronchi degli alberi attorno a lui, vorticando inarrestabili ed impattando su di lui. Il Druido viene innalzato in aria, come se galleggiasse nella brezza, e più i fasci lo penetrano, più forte egli si sente: il Chuul, anche se ancora in vita, ha cessato di arrecare danno alla natura, e questa ha saldato il debito che Galdor aveva contratto, donandogli nuovamente l’antico potere primordiale. Quando tocca terra, si sente completamente rinnovato, ed osserva la magia scorrere finalmente di fianco al suo sangue. Il suo sguardo si perde un attimo nell’immensità del cielo, le sue orecchie captano il fioco sussurro del vento, le sue mani carezzano il ruvido suolo della Natura; poi i suoi occhi glaciali si fissano sull’abominevole creatura ancora all’inseguimento di Joif: la sua schiena corazzata è ben visibile anche a grande distanza, e mentre la fissa, Xanter ha come l’impressione che il suo compagno sorrida soddisfatto.
Alfine Galdor agisce: le parole druidiche mormorate non vengono comprese dal suo compagno Ranger, che non può far altro che osservarlo sbigottito, mentre erbe, foglie e schegge di legno vorticano sempre più frenetiche attorno al suo corpo, sospinte da una mistica forza che è la pura volontà del Pianeta. Accanto al Druido, molti animali si generano dall’unione della materia e dell’energia, animali che lanciano un potente ruggito, e che s’inchinano al loro padrone: Galdor chiede ancora la forza della Natura, e questa prontamente esaudisce il suo desiderio. I fasci magici investono gli animali con bagliori accecanti, e questi tosto iniziano a crescere di dimensioni, diventando più grossi, più forti e più feroci; ancora una volta però, s’inchinano a Galdor, attendendo pazienti i suoi ordini. Questo li contempla meravigliato, assaporando finalmente il momento tanto atteso, quindi guarda ancora una volta il Chuul e mormora, quasi parlando a se stesso: «E così finisce...».
Come uno solo, tutti gli animali si lanciano in una spaventosa carica, raggiungendo in pochi secondi la loro preda. L’impatto è terribile: la forza della carica combinata è tale da destabilizzare il Chuul, che rovina in terra rotolando per diversi metri. In un lampo le belve gli sono nuovamente addosso, graffiando e mordendo con precisione e freddezza mortali; il mostro riesce a rialzarsi, ma le ferite riportate sono gravi ed il branco non accenna a rallentare. Disperata, la creatura circondata tenta un ultimo assalto per conservare la vita, roteando minacciosamente le chele alla ricerca d’un bersaglio; un leone ed un orso vengono scaraventati lontano, ma tutti gli altri non arretrano minimamente, anzi si lanciano in una nuova carica, che atterra il Chuul per la seconda volta. L’enorme creatura ormai non ha più speranze: i suoi tentacoli e gli arti si dimenano ancora disperatamente al di sopra della baruffa, ma alla fine crollano al suolo: il terribile Chuul è morto.
I tre compagni sopravvissuti si ricongiungono, lieti che la minaccia del mostro appartenga ormai al passato. Xanter però è sconsolato, pensando ai compagni caduti quel giorno. «Non c’è niente che possiamo fare per loro?» domanda a Galdor, sperando in un altro aiuto da parte della Natura. Il Druido afferma di avere un modo di riportarli indietro dal regno dei morti, ma potrebbero verificarsi alcuni inconvenienti. Quando i due domandano spiegazioni, spiega loro che l’unico modo che ha per riportarli indietro dalla morte è quello di reincarnare in un altro corpo le loro anime, ma una simile azione muterebbe inevitabilmente le loro sembianze.
«Preferisco associare i loro nomi a volti nuovi, che dover portare fiori sulle loro tombe. Il loro sacrificio ha salvato tutti noi, e meritano la vita che è stata loro strappata». Queste parole stupiscono Galdor, ma lo convincono del tutto: inizia dunque a preparare il rituale. Tre letti di felci e foglie vengono approntati, sui quali il Druido adagia i corpi; egli prende posto al centro del triangolo così formato, dove dà inizio ad una strana danza tribale, convocando al suo comando le forze degli elementi. Queste giungono dalle profondità della terra, e roteano a lui intorno simili a scie di grandi libellule.
«Dalla Natura sei giunto e ad essa sei ritornato, per poter nuovamente giungere: unica anima, molteplici corpi; medesimo potere in nuove mani; fugace l’aspetto, latente il tuo essere. Null’altro conta, nella tua vita vuota».
A queste parole, Galdor spalanca le braccia, volgendo lo sguardo al cielo. All’istante, i fasci roteanti si concentrano sulla sua fronte, ove esplodono in tre scintille che guizzano sui petti dei caduti, appiccando un fuoco mistico che avvampa divoratore. Joif e Xanter assistono impassibili, chiedendosi cosa sarebbe accaduto di lì a poco. A quel punto, sotto i loro occhi, le fiamme si estinguono, rivelando ai loro sguardi il frutto del potere di Galdor: in terra sono adagiati tre individui dai corpi perfettamente sani, due dei quali somigliano molto, nei tratti somatici, a Kerwyn e ad Avaluis. Il terzo, tuttavia, è completamente differente da Dorian: La pelle molle e grinzosa è quasi interamente ricoperta da una fitta maglia di squame bluastre, che lasciano liberi solo l’addome, la gola e le palme delle mani, dotate queste ultime di lunghe dita che terminano in artigli affilati. Le gambe sono corte e tozze, simili a quelle d’un Nano, ma molto più sottili; a dividerle, una lunga coda che parte dalla base della schiena, ben più grossa di un braccio umano, simile a quella di un alligatore. Il torso si unisce direttamente alla testa, curva ed allungata come quella delle lucertole, i cui occhietti neri fissano il vuoto, sbarrati; dalla bocca semiaperta, infine, s’intravede una lingua biforcuta in mezzo a due file di lunghi denti aguzzi ed affilati, simili a quelli dei predatori.
I tre amici guardano il nuovo corpo del loro amico con occhi colmi di stupore e di una punta di disgusto, finché il Ranger non mormora, con un filo di voce: «È... è un Troglodita!».
I rinati si destano dal loro sonno, come se avessero dormito ininterrottamente per lunghe giornate, e pian piano si accorgono dei loro nuovi aspetti. Anche in loro è grande la sorpresa nel vedere ciò che è accaduto a Dorian; tuttavia, come aveva già detto Galdor, non vi è alcun dubbio che sia davvero lui, rinchiuso nelle singolari spoglie d’una creatura dalla natura viscida ed infida, ed il Chierico commenta amaramente che un giorno si sarebbe abituato alle sue nuove sembianze, in attesa di trovare un modo per recuperare le vecchie.
Il gruppo nuovamente congiunto si appresta quindi a ritornare in città, ove raccogliere Veit e ripartire per i loro viaggi. Un Troglodita però avrebbe certamente scatenato il panico tra la gente, per cui Kerwyn gli presta il suo Cappello del Camuffamento, un magico copricapo che consente a chi lo indossa di assumere quasi qualunque aspetto, permettendo a Dorian di assumere, anche se in maniera fittizia, il suo solito corpo.
I sette compagni lasciano dunque Zesterlick, diretti verso l’orizzonte. Chissà cosa riservava per loro il futuro...

Continua...




Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:01
 
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Corillo!!!
view post Posted on 20/5/2007, 12:30




Decisamente più chiaro dei resoconti di Jeff XD
 
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view post Posted on 20/5/2007, 12:32

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

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Grazie Cori. A me piace essere ordinato su queste cose... :shifty:

Ora avanti con la seconda parte!



Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Prologo - Parte 2
G
li avventurieri si trovavano al limitare di un piccolo boschetto di gelsi, che costeggiava immensi campi di grano, frumento ed avena: qui e là numerosi contadini si davano da fare per curare le proprie terre, sferzati da un sole affatto clemente. La giornata era secca ed afosa, e i sei compagni si mantenevano all’ombra dei possenti alberi, straziati anch’essi dal torrido calore di quella giornata. Avaluis non era al loro fianco, si era da poco separato dal gruppo per dirigersi verso una meta che aveva rifiutato di condividere; in molti era sorto qualche dubbio, ma nessuno di loro aveva il diritto di costringere qualcuno in un luogo contro la sua volontà, meno che mai uno che definivano “compagno”. Perciò lo Stregone li salutò, promettendo loro che si sarebbero incontrati nelle vicinanze delle piane a sud di Zesterlick, e più precisamente nella tranquilla città di Khardrad.
Avevano da poco lasciato un piccolo villaggio abitato unicamente da contadini, ai quali non piacevano molto gli avventurieri, trovando un’ospitalità piuttosto fredda. Una giovane donna però, appena li vide si gettò ai loro piedi supplicandoli di salvare suo figlio dalle infide foreste circostanti, in cui si era incautamente inoltrato. Non potendo ignorare le disperate preghiere a loro rivolte da una fanciulla, gli avventurieri si erano inoltrati nella foresta, che presto era diventata piuttosto buia, a causa delle larghe chiome degli alberi. Molto in profondità, gli occhi di Xanter adocchiarono una banda di Goblin, probabilmente banditi, che si era accampata tra gli arbusti: ai piedi di un grosso tronco secco era stata appoggiata una gabbia di legno di scarsa fattura, al cui interno giaceva un bambino seduto, il volto nascosto tra le ginocchia, evidentemente troppo terrorizzato per urlare o per tentare di fuggire.
La reazione degli avventurieri fu rapida e risoluta: dagli arbusti saettarono le mortali frecce del Ranger, mentre Dorian, Veit e Kerwyn chiudevano i banditi in una stretta morsa, impegnandoli in un duro scontro corpo a corpo; Galdor e Joif intanto corsero alla gabbia per liberare il piccolo prigioniero. La gabbia venne facilmente abbattuta da pochi colpi della scimitarra del Druido, ma il bambino sembrava quasi non farvi caso, rimanendo immobile ed impassibile mentre gli veniva restituita la libertà. I due compagni restarono stupiti da un comportamento così apatico, ma non avendo il tempo per indagare se lo caricarono in spalla, guadagnando ben presto la protezione dell’intricato sottobosco, che coprì la loro fuga. I loro compagni intanto erano ancora alle prese con i banditi, che si erano rivelati ben più pericolosi e capaci di quanto preventivato: ora anche Xanter ed Avaluis si trovavano coinvolti nella mischia, il primo roteando le grandi spade mortifere, il secondo sprigionando letali energie arcane dai palmi delle mani. Altri Goblin erano giunti dal folto degli alberi, rinforzando le fila alleate e mettendo a dura prova le abilità del gruppo negli scontri armi alla mano; ma nonostante la netta inferiorità numerica, e l’inaspettata abilità dei loro avversari, i cinque giovani non erano minimamente impensieriti. Ad un tratto, lo Spadone di Veit fendette l’aria con un cupo fischio, spazzando lo spazio innanzi a sé: i brandelli dilaniati dei cinque Goblin ben armati che lo fronteggiavano furono scagliati tra le folte chiome arboree. Al suo fianco Xanter saltò in aria, oscurando il sole: piombando di nuovo al suolo, le spade vorticarono nelle sue mani, abbattendo altri quattro nemici. Poco più in là, Kerwyn si muoveva così rapidamente che gli avversari non riuscivano nemmeno a vedere le lame dei suoi pugnali, prima di ritrovarsele piantate nelle schiene. Alcuni istanti dopo, tutto era silenzio, ed i combattenti si apprestarono a raggiungere i compagni, diretti al villaggio per riconsegnare il bambino alla madre.
Joif e Galdor misero piede nel villaggio, ma non videro la donna; chiesero quindi informazioni ad un anziano che si trovava nei paraggi, il quale garbatamente spiegò loro dove lei abitasse. Raggiunta la piccola abitazione, il Bardo bussò alla porta: la donna si affacciò dall’uscio e riconoscendoli, chiese loro notizie del figlio. Galdor le porse il fanciullo il quale, alla vista della madre iniziò a tremare leggermente, pur tuttavia rimanendo in silenzio; la donna lo prese in braccio, mormorò un veloce “grazie”, quindi si chiuse la porta alle spalle, non degnando i due d’un altro sguardo.
Un simile comportamento apparve assai strano ai due, soprattutto a Joif, sconvolto dal fatto che la donna fosse del tutto refrattaria al suo innato fascino virile. Galdor tuttavia voleva ritrovare i compagni che ancora tardavano, quindi entrambi si mossero, allontanandosi dalla spoglia dimora. Il fiero Bardo però ancora non riusciva ad accettare di essere stato respinto con tale indifferenza da apparire sdegno, a tal punto da convincersi che qualcosa non andava: afferrato dunque Galdor, tornò sui suoi passi, fino a scorgere nuovamente la lercia porta della piccola dimora. Era sul punto di bussare all’uscio, quando le sue orecchie avvertirono rumori a dir poco sinistri, provenienti dall’altro lato; anche l’attenzione di Galdor venne catturata, e i due rimasero immobili, le orecchie premute sul sudicio legno muffito che li separava dalla fonte dei suoni: questi erano una sorta di rantoli smorzati, come quelli che emetteva il Chuul mentre spolpava le carcasse delle sue prede. Era, come Joif raccontò in seguito, lo stesso rumore che produceva Brottor Veit mentre divorava una fumante bistecca dopo tre giorni di marcia a stomaco vuoto.
D’improvviso, i rantoli cessarono, seguiti da un inequivocabile ruggito soffocato, quindi il silenzio. Galdor non poteva più attendere, quindi con un calcio spezzò la fragile porta, entrando nella casa con la scimitarra salda tra le mani, seguito immediatamente da Joif. Ma lo spettacolo a cui assistettero li costrinse quasi a terra, in preda a conati di vomito: il minuto corpicino del fanciullo giaceva supino, il volto rivolto nella loro direzione, gli occhi sbarrati in un’espressione di puro terrore che mai più avrebbe lasciato il suo innocente volto. I capelli corvini erano imbrattati di sangue lucente, che ancora gocciolava a tratti, colando sulla delicata fronte; del torso era ormai impossibile discernere i confini, poiché era stato completamente squarciato e rivoltato, le interiora brutalmente divorate da aguzzi denti, i pochi brandelli scampati sparsi sul pavimento lercio. Braccia e gambe giacevano scomposte, presentando qui e là tracce della furia insensata che aveva investito quel povero bambino: in alcuni punti, denti avevano strappato la carne, mettendo in mostra le piccole ossa scheggiate e spezzate.
Sulla macabra figura ne torreggiava un’altra, ben più imponente e mille volte più spaventosa: le vesti lacere che la coprivano erano le stesse della donna che avevano poco prima veduto, ma ora fasciavano una creatura immonda, dalla carnagione bluastra, in alcuni tratti così scura da sembrare nera. Le lunghe dita delle mani erano rugose come quelle d’una vecchia, ma i lunghi artigli insanguinati non lasciavano presagire nulla di buono, celando invece una forza superiore a quella umana. Il volto era vagamente simile a quello di un’Elfa, ma molto più aguzzo, allungato e malvagio: il mento ricordava la lama di un corto infido pugnale, mentre le orecchie sembravano punte di freccia. I neri capelli arruffati ricadevano gonfi sulla schiena sinuosa, trasmettendo una sensazione di sporco e viscido; gli occhi infine erano due globi di gelida oscurità, nella cui profondità gli sguardi di Joif e Galdor si smarrirono disperati.
La truce creatura li fissò, ricambiata da sguardi talmente sorpresi da non concedere nessun altro pensiero, poi rapidamente avanzò. Fu come svegliarsi da un orribile sogno: gli artigli penetrarono a fondo nella carne di Galdor, lacerandogli il braccio fino al gomito, ma il dolore lo fece rinsavire. Già una volta aveva lasciato che le sue paure gli annebbiassero la mente, e non fosse stato per Dorian sarebbe stato stritolato nella possente morsa del Chuul: non avrebbe commesso nuovamente un simile errore, stavolta doveva vedersela da solo. Joif alle sue spalle non era sicuro su come agire, quindi intonò uno dei suoi magici canti dalle note vibranti: la dolce voce infuse nel Druido ancora più sicurezza e forza di volontà, e questi puntò alla vittoria già dal primo colpo. Le sue mani accolsero le energie degli elementi, che si disposero compatte nel suo palmo, ed un attimo prima di scagliarle contro la creatura Galdor gridò: «Soccombi all’immenso potere della Natura, losco essere! Pagherai molto caro tutto il dolore che hai arrecato in vita tua!», e così dicendo il potere si sprigionò, avvolgendo la figura in spire di brillanti colori, che la stringevano inesorabili: il mostro ruggì, guaì e si dimenò, ma non vi fu verso per lui di sottrarsi al grande potere con cui lottava, e ben presto dovette arrendersi. Il suo corpo cominciò a rimpicciolirsi, mentre le convulsioni e i versi si attenuavano sempre più, infine una luce si sprigionò, frutto del sovrapporsi di tutte le numerose energie; al suo dissolversi, in terra vi era solamente una semplice rana, che gracidava pigramente, incurante di tutto ciò che la circondava. Joif la guardò con grande curiosità, ma il Druido non attese un altro momento, ed il suo piede scattò rapido: la rana fu spiaccicata al suolo con un ultimo gracidio molto acuto sotto gli occhi del Bardo. Questi, dopo qualche istante si arrischiò a domandare: «Era ancora quel mostro? Voglio dire...».
«No» gli risponde, «l’incantesimo era riuscito alla perfezione: ormai era una semplice rana».
«Ma allora perché...?».
«Perché lo meritava! Hai visto cos’ha fatto, e non l’avrei mai potuto perdonare! Ora dammi una mano a raccogliere i resti di questo povero fanciullo: il suo piccolo corpo merita per lo meno di tornare alla terra da dove proviene. Offriamogli una degna sepoltura»; detto ciò, raccolsero i resti del bambino ed eressero un piccolo tumulo in onore delle sue spoglie. Nel frattempo anche i loro compagni arrivarono, e messi al corrente dell’accaduto parteciparono ai riti funebri come poterono. Al termine della funzione istituita da Dorian, il gruppo lasciò il triste villaggio, sovrastato da un’ombra scura che abbassò il morale di tutti.
Dorian era ancora intento ad elucubrare su questi foschi eventi, quando davanti a loro compare la sagoma di una contadina, piegata in due sotto il peso di una grossa balla di fieno che portava in spalla. Nonostante non fosse attraente come molte altre fanciulle, la donna viene subito avvicinata da Joif, il quale sfoggia come suo solito una galanteria che riscuote immediato successo: la contadina si ferma a chiacchierare con lui, mentre anche gli altri membri del gruppo si fanno avanti. Il Chierico però nota un particolare che lo lascia sorpreso e dubbioso: la contadina infatti, nonostante il torrido caldo e l’evidente peso del carico che fino a pochi secondi fa gravava sulla sua schiena, non mostra alcun segno di stanchezza o fatica, e sul suo volto non si vede nemmeno una goccia di sudore. Le rivolge dunque alcune domande sul suo lavoro, chiedendole da quanto tempo trasportasse quel fieno e da dove venisse; la donna si rifiuta di rispondere, asserendo di essere offesa dal tono inquisitorio della voce di Dorian, ma questo non è minimamente contrito, guadagnando anzi ulteriore convinzione. Le domande si fanno più incalzanti ed il tono di voce sale, finché la contadina, sentendosi alle strette, decide di smascherarsi: compiendo un balzo che coglie di sorpresa persino Kerwyn, la donna esce dal cerchio in cui il gruppo l’aveva involontariamente chiusa, e sotto gli occhi di tutti si libera delle vesti che indossava.
L’incredulità sui volti degli avventurieri è palese, mentre rimangono ad osservare la figura che rapidamente getta in terra tutti i componenti di un abilissimo travestimento. Sotto le spoglie fasulle d’una contadina si nascondeva un piccolo Gnomo dalla folta barba grigia, al pari dei corti capelli; gli abiti che lo ricoprono sono davvero singolari, intessuti di materiali molto preziosi dai colori accesi che vanno dal rosso fuoco al giallo pesca, con larghi calzoni che si stringono sulle snelle caviglie, e che presentano superbamente le lunghe scarpe affusolate. Sul busto, una sobria camicia di pizzo bianco è coperta da una giacchettina in tono con i pantaloni, dalle cui numerose tasche interne spuntano per un attimo i manici di numerosi coltelli. Infine, una corta mantellina vermiglia lo cinge, svolazzando con movimento fluido e quasi ipnotico.
La minuta figura lancia loro un’occhiata risoluta ed al contempo divertita, quindi quasi dal nulla estrae un astruso strumento molto simile ad una chitarra, ed inizia ad intonare una travolgente melodia. Le orecchie degli avventurieri vengono invase dal dolce suono prodotto la quelle corde, e le loro menti si svuotano ben presto, soggiogate dallo stesso potere usato tanto spesso da Joif. Quando lo strumento tace e la razionalità torna a farsi spazio nelle menti degli avventurieri, essi si accorgono di non avere più la facoltà di muoversi: qualsiasi tentativo di spostare anche un unico dito è inutile... eppure non ogni cosa è perduta. Il lupo di Galdor, fidata belva che segue ciecamente gli ordini del proprio padrone, non ha risentito minimamente dell’influenza magica della musica, così come Dorian il quale, forse per effetto del suo nuovo corpo di Troglodita, non ha alcuna difficoltà ad imbracciare le armi e scagliarsi contro il pericoloso nemico.
Lo Gnomo fissa sbigottito in direzione del Chierico, osservandolo ad occhi spalancati mentre estrae dal lungo fodero il suo Spadone, la cui lama di ghiaccio spande nell’aria una gelida brezza. Un momento prima dell’impatto, tuttavia, il nemico gioca un’altra carta, ed intonata una nuova canzone svanisce un istante prima che la lama fenda l’aria. Dorian si blocca incerto: il suo istinto gli dice che il nemico è ancora lì da qualche parte, e che potrebbe da un momento all’altro colpire lui o i suoi compagni, perciò non perde altro tempo, e si concentra invocando il divino potere di Kord. Nelle sue mani riluce l’energia che si sprigiona dal suo simbolo, legame indissolubile con la divinità, e Dorian trattiene quell’energia per un attimo, prima di sprigionarla innanzi a sé sotto forma di un’impetuosa onda traslucida: l’incantesimo avanza repentino, annichilendo ogni altra traccia di magia sul suo tragitto. Infine, al suo dissolversi, l’effetto della musica incantata è stato infranto, e lo Gnomo è nuovamente davanti ai suoi occhi. Ancora la larga lama ghiacciata cala dall’alto nella sua direzione, ma per la seconda volta lo Gnomo è più rapido, e nuovamente scompare un istante prima del colpo. Dorian solleva la spada visibilmente innervosito, mentre il suo cervello tenta di elaborare una strategia che gli consenta di affrontare lo sfuggente avversario: l’unica che riesce a trovare non è affatto di suo gradimento, ma i suoi amici sono ancora congelati dagli effetti di quella melodia, e sarebbe uno scherzo per lo Gnomo avvicinarsi e porre fine alle loro vite in modo rapido e silenzioso. Pregando quindi affinché Galdor possa comprendere e perdonare la sua decisione, Dorian si concentra e lancia il suo incantesimo: dal terreno si aprono numerose crepe, e da queste spuntano numerosissimi pennoni composti da pura forza solidificata, il cui colore è tanto ammaliante quanto terribile. Dalla superficie dei pennoni si estendono delle inquietanti lame ricurve dallo stesso aspetto dei loro sostegni, i quali iniziano a ruotare vorticosamente, spingendo con essi le lame affilate: nel giro di qualche istante l’intera area è un confuso susseguirsi di luci e rumori. Le lame di forza continuano a falciare l’aria, dopo aver irrimediabilmente abbattuto ogni singolo albero o arbusto che si trovava nel loro raggio; non v’è traccia tuttavia dello Gnomo, che sembra essere scampato al terribile attacco.
Ancora una volta Dorian vede fallire la sua strategia. Il suo animo però non si arrende, ed il suo intelletto si riattiva, analizzando rapidamente tutte le variabili conosciute e le opzioni rimaste: presa la sua decisione, quindi, si concentra ancora, mentre l’energia fluisce nel suo corpo accanto al suo sangue. Raccolto potere a sufficienza, il Chierico apre innanzi a sé un nero varco, collegato ad un mondo misterioso: dai suoi meandri ne emerge una creatura poco più grande d’un bambino, dalle orecchie aguzze e dallo sguardo malizioso, interamente composto di sale. Un Mephit.
Dorian ordina al mostro appena evocato di cercare una piccola creatura nascosta nelle vicinanze, ma lo ammonisce in proposito alla magia che lo rende invisibile, ordinando al Mephit di fare ricorso allo sviluppato olfatto. Il piccolo essere di sale si mette subito all’opera, aggirandosi rapido tra gli alberi ed i cespugli, e catturando ogni odore presente col suo naso; Dorian intanto lo osserva in apprensione, voltandosi spesso in direzione degli amici, ancora immobili sotto l’influsso della canzone.
All’improvviso il Mephit emette un acuto strillo, ed il Chierico si volta subito nella sua direzione. Purtroppo però non ha modo di interpretare in tempo il suo linguaggio, perché la sua attenzione viene completamente catturata da una piccola figura che gli balza inaspettatamente sulla schiena: Dorian si dimena frenetico, tentando inutilmente di liberarsi dall’abile presa, ma è tutto inutile, e lo Gnomo non lo molla. Poi, gli occhi di Dorian vedono una delle sue braccia che spunta al di sopra della spalla destra: stretto tra le dita, un pugnale seghettato scintilla minaccioso. Negli occhi del sacerdote si nota una punta di disperazione, mentre tenta di afferrare il braccio armato prima che la lama colpisca, ma lo Gnomo è troppo veloce: la punta si conficca appena sotto il mento, lì dove le scaglie sono morbide, scorrendo fin quasi all’orecchio. Un fiotto di sangue scuro zampilla dalla profonda ferita, macchiando le pesanti placche dell’armatura. Le braccia perdono forza, e si accasciano lungo il tronco, costrette verso il basso dal peso di spallacci e proteggibracci, mentre le gambe, ormai incapaci di sorreggerne il peso, fanno cadere Dorian in ginocchio. Il copricapo di Kerwyn vola via dalla sua testa, e le sue sembianze si manifestano nuovamente sotto gli occhi dei compagni impietriti e dello Gnomo il quale, dopo aver lanciato un’altra occhiata al gruppo immobile, intona un’altra melodia e svanisce ancora.

Quando Xanter riesce a muoversi, sembrano passate interminabili ore. Prima ancora di aver riacquistato completamente l’uso delle gambe, l’Elfo barcolla in direzione del compagno, che giace in terra senza un minimo movimento, eccezion fatta per la coda, che si dimena frenetica. Pochi attimi dopo, anche gli altri si liberano dalle intangibili pastoie che li hanno tenuti immobili finora, e tutti corrono a verificare le condizioni del loro sacerdote; tutti meno Galdor, il quale fissa immobile la moltitudine di alberi distrutta dal potente incantesimo scagliato poc’anzi.
Una semplice occhiata basta agli avventurieri per dissipare le loro già fioche speranze: la vasta chiazza di nero sangue sull’erba è fin troppo eloquente, ed il forte odore emanato dal corpo, tipico dei Trogloditi, non fa altro che confermare la verità fin troppo lampante: Dorian era morto.
Gli avventurieri rimangono seduti nello spiazzo in cui si era svolta la battaglia, ponderando le loro possibilità, quando ad un tratto Galdor si avvicina al corpo di Dorian e gli sferra un calcio furioso: sui volti degli altri si delinea un’espressione di totale incredulità nei confronti del gesto a cui hanno appena assistito, ma il primo ad agire è Kerwyn, che si avvicina rapido al Druido. «Ehi, ma cosa ti salta in mente?!» gli domanda, con voce molto aggressiva.
«Questo maledetto non aveva alcun rispetto per la natura. Guarda come ha ridotto questo tranquillo boschetto! Ciò che gli è capitato è il minimo che meriterebbe!» risponde questi, digrignando i denti per la rabbia, e mentre parla assesta un altro calcio al corpo. Il Ladro lo spinge indietro, visibilmente incollerito, poi riprende a parlare: «Come puoi dire certe cose?! Se non avesse agito come è stato, ormai saremmo tutti morti! È stato ucciso mentre difendeva noi, e come noi tutti, tu gli devi la vita. Se ha distrutto qualche albero, vorrà dire che li farai rifiorire tu! È questo ciò che sai fare meglio, dico bene?».
«Per salvare noi, dici? Ma per preservare cinque vite ne ha spezzate molte di più! È davvero poca la considerazione che avete della natura… Io non gli devo niente, meno che mai la mia vita!».
A quel punto Kerwyn, quasi incapace di contenere la sua rabbia, si avvicina ad un albero sano, e con un’occhiata a Galdor estrae un pugnale. «Cos’hai intenzione di fare?» domanda il Druido, ma il Ladro non gli presta attenzione, e con la lama affilata incide nella corteccia la frase “Io odio i Druidi”. Immediatamente, alle sue spalle si concentrano due vortici di energia che sollevano erba e foglie, che si dissolvono lasciando il posto a due imponenti ghiottoni, dagli artigli affilati e lo sguardo truce, che fissano Kerwyn con fredda intensità. «Nessuno rimarrà impunito dopo aver deturpato la natura innanzi a me!».
«Basta così Galdor, hai superato il limite!» urla Veit, schierandosi tra i ghiottoni e la loro preda, lo spadone stretto nei guanti ferrati. «Non ti permetterò di fare del male ad un mio amico per la tua ossessione verso la natura! Se hai deciso di tradire il gruppo, sappi che dovrai affrontarci tutti». Immediatamente anche Xanter balza al suo fianco, le lame gemelle incrociate sulla sua fronte, tutti i muscoli in tensione pronti per il balzo. Joif tuttavia si acquatta tra i cespugli, tirando il corpo di Dorian fuori dalla mischia ed intonando un canto di guerra adatto all’occasione.
«Molto bene, dunque!» urla Galdor, il volto deformato, la bocca storta in un maligno sorriso e gli occhi iniettati di follia. «Chi difende il criminale è da considerarsi alla stessa stregua! Sappiate che non avrò pietà!», dopodiché solleva le mani al cielo, e dalle palme si sprigiona una sfera di luce verde che si espande, avvolgendo lui e tutto ciò che lo circonda: al dissolversi, tutti gli animali nell’area sono aumentati di dimensioni, ed un alone di magia li avvolge. Sia il lupo, sia i ghiottoni, e persino il falco di Xanter sono ora molto più grandi e forti di prima, impregnati e sorretti dai vasti poteri della natura.
Ad un segnale di Galdor, i ghiottoni sferrano una possente artigliata verso i loro nemici: le zampe si scontrano però con il duro metallo delle lame gemelle, che ne sostengono l’impeto strette nelle mani del loro proprietario. Contemporaneamente, Kerwyn scarta di lato, e si porta a distanza dalle belva, mentre Veit si lancia in avanti, imitato dal lupo, che lo raggiunge in un baleno, mordendo l’elsa dello spadone: la battaglia era cominciata.

Continua...



Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:03
 
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view post Posted on 20/5/2007, 12:51

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@ Galdor: Senti, perché non posti tu il Dialogo Fine tra il Principe Inejhas e il Guerriero Brottor Veit? :lolxd:

Ed ora ecco la parte finale del Prologo!


Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Prologo - Parte 3
M
uovendosi a spirale, Xanter si lascia cadere verso terra, mulinando le spade che inferiscono le spaventose creature, provocando loro due profondi tagli all’altezza del petto; queste tuttavia non sembrano accusare il dolore come pronosticato, continuando inarrestabili ad avanzare verso la loro preda. Veit libera la spada dalla presa del lupo con un violento strappo, augurandosi in cuor suo di avergli spaccato qualche zanna, quindi si riporta in posizione di guardia ed attende l’assalto; la belva gli gira intorno lentamente, studiandolo con i suoi occhi da predatore, sorpresa dalla totale assenza di paura nei suoi occhi. Quindi si lancia: Veit non si aspettava un sì rapido movimento, ed è costretto a piegarsi sulle ginocchia pur di evitarlo, rinunciando ad un facile affondo; tenta ugualmente di voltarsi ed attaccare prima che il lupo guadagni nuovamente un appoggio, ma ancora una volta è stupito dalla rapidità dell’avversario, il quale si volta ben prima di lui e gli assesta una zampata che lo getta in terra.
Kerwyn intanto sfrutta la sua agilità sovrumana per liberarsi dalla mischia, quindi mette mano a due pugnali ed inizia a correre in direzione di Galdor, rimasto nel frattempo indifeso: i movimenti del Ladro sono troppo rapidi per il Druido, il quale tenta invano di colpirlo con la sua scimitarra. Kerwyn calcola in un istante tutti i movimenti, quindi con un balzo schiva la spada; mentre ancora fluttua in aria, quasi fosse privo di qualsivoglia peso, il Ladro si volta verso Xanter, scaglia i due pugnali che si conficcano nelle schiene dei ghiottoni, e ricade in terra alle spalle di Galdor, stringendo tra le mani il suo manganello. Si alza dunque in piedi e lo fissa per un istante che al Druido pare interminabile.
«Meriteresti molto più di questo, vile canaglia!» urla, mentre la mano che stringe l’arma la porta nel cielo ad oscurare il sole, per poi farla ricadere sul capo di Galdor con un tonfo secco. Gli occhi del Druido si opacizzano, un velo di lacrime li appanna, mentre le sue membra ricadono flosce al suolo. Kerwyn fissa il corpo inerte di colui che una volta considerava un compagno, dopodiché sputa al suolo e corre a dare manforte a Xanter, estraendo lo stocco dalle pieghe della scura cappa.
Ma nonostante Galdor giaccia al suolo privo di conoscenza, i suoi animali non sono minimamente indeboliti, e non ricevendo nuovi ordini continuano a tentare di portare a compimento l’ultimo a loro impartito: uccidere i nemici del Druido. La battaglia si fa sempre più aspra e dura, ma gli animali, impregnati del potere della natura, sembrano quasi inarrestabili: Xanter impegna egregiamente uno dei due ghiottoni in un duello serrato, lame contro artigli, ma il suo gemello fa valere la superiorità fisica innegabile nello scontro con Kerwyn: questi unisce nella sua lotta l’agilità e la strategia, vanificando i più furiosi attacchi del suo avversario, ma sempre più numerose sono le gocce di sudore che gl’imperlano la fronte, e la sua prontezza di riflessi è rallentata ad ogni schivata.
Veit infine è impegnato dal temibile lupo grigio, le cui dimensioni raggiungono ora quelle di un orso adulto: la belva, a dispetto della sua stazza imponente, e dell’incomparabile potenza fisica, è incredibilmente rapida, ed il Guerriero riesce a malapena a difendersi dai suoi assalti, che raggiungono ritmi sempre più serrati, aumentando gradualmente di ferocia. Anche lo spadaccino è stremato dallo scontro, e la sua spada è finora riuscita soltanto a fermare le avide zanne del mostro.
Il mortifero artiglio saetta per l’ennesima volta, ed uno schizzo di sangue macchia il grigio pelo del ghiottone, mentre Kerwyn si porta d’istinto la mano al fianco per contenere la fuoriuscita di sangue. Il mostro gli è nuovamente addosso, e lui sa di non avere forze sufficienti per spostarsi in tempo dalla traiettoria della zampata che sta per coglierlo; istintivamente serra gli occhi, alzando il braccio sinistro a proteggere il volto, ma un ruggito stridulo della bestia lo spinge a riaprirli: due lame gemelle sporgono dal torace del ghiottone che si contorce in preda agli spasimi, mulinando le braccia nel vano tentativo di far cessare il dolore lancinante, mentre alle sue spalle Xanter conficca le sue armi sempre più a fondo nella schiena della belva. Questa si dimena ancora, ma alla fine collassa, due rivoli di sangue che scorrono dalle ferite al petto mentre l’alone magico si disperde; dopo pochi altri istanti, il corpo inerte si dissolve in una pallida vampa verdastra, lasciando al suolo semplici fasci d’erba ed arbusti secchi e spezzati. Ma l’Elfo paga a caro prezzo l’aiuto offerto a Kerwyn, ché il suo principale nemico, temporaneamente spiazzato da un colpo d’elsa portato al suo muso, si riprende, e lo attacca alle spalle nel preciso istante in cui l’altro nemico si dissolve nell’aria: il colpo ha la potenza d’un ariete, ed inferisce la schiena di Xanter con inaudita potenza. L’abile spadaccino viene scagliato un metro più avanti, le lame che volano lontane, ed atterrando sente una costola incrinarsi: il dolore lo coglie, ma lui lo ignora con una smorfia di sofferenza, e si rialza con maggior vigore di quanto osasse sperare. La belva gli è di nuovo addosso, ma Kerwyn la impegna con maestria perfetta, consentendo al compagno di recuperare le armi perdute e di tornare nuovamente a lottare al suo fianco.
In quel momento però, un urlo straziante spezza la tensione, e i due compagni si voltano in direzione di Veit, impegnato a duellare con il letale lupo, e finora obliato: la sua spada giace conficcata nel terreno, a poca distanza dalla coda della belva, mentre il suo proprietario è steso su un letto del suo stesso sangue, gli aguzzi denti lupeschi conficcati nella clavicola sinistra. L’animale esibisce un profondo taglio sul fianco sinistro, ma non sembra preoccuparsene minimamente, mentre le sue fauci stringono la spalla del Guerriero, da cui il sangue fuoriesce copioso.
«Veit!» urla il Ranger, vedendolo agonizzante in balia del nemico; ma Kerwyn è più rapido di lui, ed estratto un pugnale dalla cintura, lo scaglia con tutta la forza verso la fiera. La lama raggiunge il bersaglio con mortale precisione, squarciandogli un occhio e piantandosi nel cranio; ma l’alone di magia druidica protegge ancora il lupo, ed il colpo non è sufficiente ad ucciderlo. Il dolore causato basta però a distoglierlo dal suo obiettivo, allentando la presa che le fauci esercitavano su Veit. In un balzo, Xanter gli è accanto, cercando di tamponare l’orribile ferita come può: ma il sangue sgorgato è troppo perché sia possibile sopravvivere, persino nel caso di Brottor Veit. Il suo volto madido di sudore è pallido come un velo, ed i suoi occhi, pur spalancati, sono nebulosi e ciechi.
«Puoi ancora farcela, amico mio! Non morire!» lo implora il Ranger, nonostante sia ben consapevole della falsità delle sue stesse parole. Al sentire la sua voce, Veit sembra riacquistare parte del raziocinio perduto, e con l’ultimo alito di vita rimasto mormora: «Xanter... D-dovete... dovete fuggire... al più presto...», dopodiché i suoi occhi si chiudono e la testa gli ricade sull’erba, immobile.
La collera che investe l’Elfo annebbia completamente gli altri suoi pensieri. I suoi occhi colmi d’odio furioso, che rasenta la follia, si soffermano un istante sul ghiottone che ancora colpisce Kerwyn senza alcuna pietà: lo scatto che compie il Ranger è accompagnato dal tetro sibilo delle sue spade che fendono il vento, roteando sempre più velocemente nelle sue mani mentre si avvicinano al bersaglio, ancora ignaro di ciò che lo aspetta. Quando il mostro si accorge di Xanter è ormai troppo tardi: le lame rotanti hanno raggiunto una velocità tale da lacerare la sua pelle rinvigorita come se tagliassero una sottile fetta di carne. I brandelli mutilati schizzano in cielo, scagliati in ogni direzione dalla spaventosa furia, e ricadono a terra un momento prima di dissolversi in scuro fumo, intorno all’Elfo che fissa il suolo, lo sguardo celato dai lunghi capelli che gli ricadono sul viso, le lame gemelle schizzate di sangue puntate verso il suolo.
Kerwyn contempla l’amico all’unisono lieto ed intimorito, e sussulta leggermente quando questi alza il capo, rivelando uno sguardo freddo ed iroso. Ma nessuno dei due ha tempo di proferir parola, poiché una enorme massa grigia balza contro Xanter, percuotendolo con una zampata che lo manda a sbattere contro il tronco d’un gelso; nell’impatto, la costola incrinata si spezza, e nuovamente il dolore sommerge il Ranger, che invano cerca di rimettersi in piedi. Il lupo concentra tutta la sua attenzione su Kerwyn il quale, già pesantemente debilitato dallo scontro con i due mostri evocati, non ha alcuna speranza di uscire vincitore dallo scontro: ben presto infatti la fiera colpisce anche lui, e la spalla sinistra si sloga nell’impatto. Ormai menomato e sfinito, il Ladro non rappresenta più un pericolo, bensì una facile preda, e la bestia balza, le fauci assassine spalancate nella sua direzione, ancora imbrattate dal sangue di Veit. Eppure, con un guizzo di vitalità dettato forse dalla disperazione, Kerwyn riesce ad accovacciarsi in tempo, e con il braccio destro conficca il suo stocco nel fianco del nemico. La belva, già rallentata dalla profonda ferita all’occhio, ruggisce in preda a rinnovato dolore, ma nelle convulsioni assesta un’altra artigliata alla sua preda, che collide con il suolo perdendo i sensi, mentre il suo respiro ed i suoi battiti rallentano.
“Se va avanti così, periremo di sicuro” pensa Xanter, cercando di rimanere cosciente mentre lotta con il dolore; “non avrei voluto arrivare a questo, ma sembra che ormai non resti altra scelta”. Quindi, nella sua mente si concentra, inviando al suo prezioso compagno alato l’ordine di scendere in picchiata verso il corpo del Druido, e di colpirlo con una beccata che lo uccidesse. Il falco ubbidisce senza esitare all’ordine del suo padrone, quindi vola ad un’altezza considerevole e si lancia in picchiata contro la gola di Galdor; il lupo però si accorge della sua presenza e delle sue intenzioni, e sferra un potente colpo di artigli che lo colpisce in pieno. Un vortice di piume si sprigiona nel punto d’impatto, ed il corpo del falco viene scagliato lontano da un colpo che avrebbe ucciso persino un leone. Eppure, per caso o per destino, lo stesso alone magico che circonda il lupo avvolge anche il falco, le cui membra sono rafforzate e rinvigorite dal potere della natura, e gli permettono di sopravvivere al tremendo attacco. Recuperata la stabilità, dunque, il volatile compie un altro giro per guadagnare velocità, dopodiché si lancia senza indugio verso il corpo disteso in terra, evitando un nuovo assalto da parte del lupo: il becco affilato perfora con inaspettata facilità la gola del Druido, e questi spalanca gli occhi in una contrazione improvvisa, mentre il dolore lo afferra e lo arde, consumandolo fino all’istante della sua morte, proprio come era accaduto poco prima a Veit.
Quando il cuore druidico di Galdor cessa di pulsare, la magia che avvolgeva i due animali si dissolve in un guizzo di luce verdastra, ed il terribile lupo assetato di sangue torna ad essere un semplice lupo delle terre del nord. Tuttavia, nonostante il suo padrone sia spirato, la belva non ha dimenticato gli ordini impartiti, e quando finalmente Xanter riesce a rimettersi in piedi gli si lancia contro, ringhiando; ma nonostante il Ranger si regga in piedi a fatica, con un unico colpo di spada spazza via il nemico, tenendo lo sguardo duro fisso al suolo. La battaglia era finita.
Senza perdere altro tempo, Xanter corre a controllare le condizioni di Kerwyn: per fortuna scopre che è ancora vivo, anche se il suo respiro è impercettibile ed il battito si è quasi arrestato. Frugando nello zaino del compagno, ne estrae una bacchetta incantata, che immediatamente agita sulle ferite del Ladro: dalla punta dello strumento zampillano piccole stelline di pura forza vitale, che richiudono le ferite, riparano i danni e ripristinano il sangue perduto. Nel giro di alcuni secondi, Kerwyn apre gli occhi, ed assiste spaesato al deprimente spettacolo che gli si presenta intorno. Dopo aver accertato le condizioni del Ladro, Xanter, sfiora il suo torace con la bacchetta, e la magia agisce repentinamente, raddrizzando la costola spezzate e restituendo sollievo al sofferente Elfo.
In quel momento Joif spunta da dietro ai cespugli, congratulandosi con i due per l’eccellente lavoro. Kerwyn e Xanter fissano il Bardo con sguardo omicida, ma decidono di non complicare ulteriormente la situazione già compromessa del loro gruppo.
«Sarà bene raccogliere i corpi dei caduti, poi dovremo trovare un modo per riportarli in vita» commenta Xanter, lanciando un’occhiata amara ai cadaveri distesi di Veit e di Dorian.
«Sì, hai ragione» risponde Kerwyn, «Joif, dacci una mano».
I tre raggiungono i corpi di Veit e Dorian, che sistemano con grande cura nei loro zaini, per poterli trasportare fino alla prossima città, ove avrebbero cercato un mezzo che li riportasse in vita. Anche il Corpo di Galdor viene raccolto, e Joif lo ripone nella sua sacca: Kerwyn lo nota e fissa il corpo con profondo disgusto, ma non interferisce.
«Bene» dice Xanter, una volta che i corpi sono al sicuro negli zaini, «faremo meglio a rimetterci in marcia»; ma all’improvviso i suoi, occhi acuti come quelli del suo fedele volatile, captano un impercettibile fruscio nel cespuglio alle spalle di Kerwyn. Un rametto con quattro foglie oscilla come mosso da una leggerissima brezza, nonostante da diverse ore non tiri un alito di vento; gli occhi dell’Elfo s’incrociano con quelli del compagno, e le sue dita sfiorano una delle else ai suoi fianchi. L’intesa tra i due è immediata ed esauriente, ed il Ladro in un istante sa già ciò che deve fare.
Tutto si svolge nel giro d’un rapido baleno: dal cespuglio qualcosa balza, e mentre la sua traiettoria lo porta alle spalle di Kerwyn, l’incantesimo che ne occultava le forme sbiadisce come fuliggine lavata via da un secchio d’acqua dal corpo dello Gnomo, il corto mantello che sventola alle sue spalle, nella sua mano il pugnale seghettato ancora insanguinato. La sua mano libera si stringe sul mantello di Kerwyn, ma una grande sorpresa si delinea sul suo viso quando si accorge che il Ladro si è chinato come se sapesse esattamente ciò che stava per succedere. Il piccolo Gnomo vola al di sopra del suo bersaglio, mulinando le braccia in evidente difficoltà, il coltello che lampeggia frenetico nella sua mano; ma non fa in tempo ad atterrare, ché Kerwyn lo afferra per una caviglia, e dopo averlo roteato come una fionda lo scaglia al suolo con straordinaria violenza. La minuta creatura si schianta al suolo con un sonoro tonfo, il misterioso liuto che si frantuma nell’impatto; eppure, nonostante il duro colpo, si rialza inaspettatamente, pur portandosi una mano sulla spalla, là dove l’impatto è stato più sentito. Ma quando solleva lo sguardo, si trova ad un centimetro dalla punta del naso una delle spade di Xanter, che lo fissa con profondo disprezzo prima di mormorare a denti stretti: «La partita è finita. Hai perso». Le lame gemelle s’incrociano, poi affondano: il grido di dolore è acutissimo, e lo Gnomo viene nuovamente sbattuto a terra, due profondi squarci scuri a forma di croce sul suo torso. Xanter gli volta le spalle, riponendo le armi ai fianchi, ma nonostante le profonde ferite il nemico non è ancora sconfitto, e la sua mano si stringe più salda all’elsa del coltello, gli occhi colmi d’odio fissati sulla schiena del Ranger a prendere la mira. Prima del lancio però, il sole viene oscurato, e lo Gnomo alza d’istinto lo sguardo: Kerwyn Eagleye torreggia su di lui, l’affilato stocco tra le dita e la faccia oscurata dal riflesso del sole. Come un lampo il suo braccio si muove, ed il nemico non trova nemmeno il tempo di gridare, crollando definitivamente al suolo, la lama sottile che gli trapassa la gola.
Joif osserva la scena con aria molto seria, assimilando i precisi movimenti dei compagni, senza interferire nello scontro. Al suo termine, controlla le condizioni del nemico, accertandosi della sua morte, quindi lo perquisisce a fondo, alla ricerca degli oggetti preziosi in suo possesso. Il coltello seghettato è reclamato da Kerwyn, e trova posto accanto ai numerosi pugnali agganciati alla cintura; il Bardo indossa invece il rosso mantello, infuso da un potente incantesimo che incrementa notevolmente le capacità retoriche e dialettiche di colui che lo indossa.
I tre compagni si guardano intorno: è davvero incredibile che quello spiazzo di alberi abbattuti abbia veduto un tale dolore ed una tale rabbia che per sempre rimarrà incastonata nei contorti meandri di legno ed erba! Con un ultima occhiata malinconica si congedano da quel luogo, quindi riprendono la loro strada, diretti all’incontro con Avaluis, sperando in cuor loro di riportare indietro i caduti quel giorno.
È ormai il crepuscolo, quando gli avventurieri raggiungono i confini di Khardrad: la città è un ridente agglomerato di case privo di fortificazioni, i cui abitanti sono gioviali ed affabili, assidui frequentatori della mirabile taverna che occupa il centro della piazza principale, “La Sirena”. I compagni varcano l’ampia porta e rimangono molto colpiti dalla splendida atmosfera del luogo: gli avventori mangiano, bevono, cantano e bisticciano come è tipico di qualsiasi locanda e taverna, ma il lungo viaggio e le innumerevoli difficoltà permettono ai tre, soprattutto a Joif, di apprezzare pienamente la pacifica situazione. Ad un tavolo, seduto in disparte, Avaluis sorseggia da un boccale di legno intagliato e giocherella con guizzi di fiamme da lui stesso generati, additato in lontananza da bambini che lo osservano ammaliati. Quando lo riconoscono, Joif, Xanter e Kerwyn lo raggiungono al tavolo, ove si accomodano ordinando cibo e birra in abbondanza; lo mettono dunque al corrente della situazione, che lo Stregone ascolta attentamente, quindi si rifocillano e si riposano, sfiniti ma lieti di aver raggiunto la loro meta.
La notte però è ancora giovane, e Kerwyn dice loro che questa è l’ora migliore per cercare un tempio dedicato ad Olidammara. «Scusami, Kerwyn, ma non mi sembra il momento più adatto per lenire la lussuria ed il divertimento» commenta Xanter, con aria di rimprovero. «Dobbiamo ancora trovare un modo di riportare in vita Veit e Dorian».
«Questo è l’unico motivo per cui voglio cercare un seguace di Olidammara» risponde questi, leggermente offeso, «chiederò loro di riportare in vita i nostri compagni, come favore per dei loro fedeli seguaci».
«Kerwyn... forse dimentichi che la tartaruga non è certo un fedele di Olidammara» interviene Joif, pensando al Chierico.
«Ma Veit lo è, così come noi due: con lui non avremo problemi» risponde questi. «Per quanto riguarda la tartaruga, nel peggiore dei casi gl’imporranno un pagamento. Le sue tasche sono piene quanto basta, qualunque possa essere la cifra». Poi sorride malizioso, imitato dal Bardo mentre immagina Dorian offrire un tributo ad Olidammara per essere stato riportato in vita.
Usciti dalla locanda, Kerwyn e Joif si lanciano quindi alla ricerca di qualche individuo losco che possa condurli al cospetto di un sacerdote del dio degl’inganni. Poco tempo dopo tornano indietro, annunciando di aver preso contatto con un fedele che ha accettato di condurli al tempio nascosto. I quattro si dirigono quindi nel luogo dell’appuntamento, un viottolo sterrato che li conduce ad un’abitazione in rovina, innanzi alla quale passeggia lo stesso uomo con cui Joif e Kerwyn avevano parlato; la figura li nota, e silenziosamente li spinge all’interno delle mura. Nella spoglia struttura non c’è assolutamente nulla, eccetto un passaggio segreto nel muro, che rivela una scala dai numerosi gradini; i cinque scendono i gradini, con il seguace del tempio a chiudere la fila. La scala termina innanzi ad una porta massiccia, che però l’Umano apre senza fatica. Davanti ai loro occhi lo spettacolo è del tutto inaspettato: una moltitudine di persone, di qualsiasi età e razza, balla sfrenatamente sotto il ritmo di una musica travolgente; luci colorate saettano sulle ampie e lisce pareti, creando giochi spettacolari che esaltano l’estesi della festa. Qui e là, ragazze seminude passeggiano per la sala o parlottano con gli uomini, comodamente sdraiate su morbidi divani foderati. Alcuni tavoli sono occupati da bottiglie di vino e boccali di birra, e già in molti manifestano segni d’ebbrezza, nonostante il sole fosse andato a dormire da poco; il chiasso è quasi assordante, eppure non il più lieve rumore era giunto alle loro ben accorte orecchie prima di varcare la porta. Kerwyn e Joif si guardano intorno, la loro voglia di unirsi alla baraonda scatenata cresce ad ogni nota della canzone; ma la loro guida li invita a seguirla in una stanza appartata, lontano dalla folla e guardata da due figure inquietanti e massicce quasi quanto Brottor Veit. L’umano scambia con una di loro parole sottovoce, poi varca la soglia, seguito dai quattro compagni; questi osservano che la stanza in cui sono entrati è ben più piccola e sobria della precedente, evidentemente riservata al Capochierico ed al suo clero. Ed infatti, poco dopo si presenta loro un essere dalle sembianze umane, ma le larghe vesti gialle e la buffa maschera che porta sul volto impediscono ai quattro di scoprire la sua taglia fisica e persino la sua razza.
«Come pattuito, vi ho condotto al cospetto del mirabile arcidiacono del dio Olidammara, artista d’inganni e sotterfugi, amante del gioco e delle dolci compagnie!» annuncia il loro contatto, quindi con un profondo inchino all’arcidiacono si ritira, tornando nella sala della festa. La sontuosa figura religiosa indossa un abito sontuoso, a riprova dell’importanza che hanno i beni materiali per i devoti di Olidammara, e sul suo petto scintilla un prezioso simbolo rifinito in oro e platino; alle sue dita, anelli ingioiellati scintillano alla luce delle candele, e la maschera stessa è d’avorio con smeraldi incastonati. Quando apre bocca, la sua voce risulta indiscernibile, forse a causa della maschera, o per effetto di qualche sotterfugio appositamente studiato; il suo tono tuttavia è dolce e professionale all’unisono, e cattura senza difficoltà l’attenzione dei presenti: «Cosa spinge tre forestieri come voi a chiedere un’udienza immediata con l’arcidiacono del grande Olidammara?».
È Joif a rispondere, lodando tra sé le capacità dialettiche del sacerdote: «Siamo giunti qui da lei con tanta premura, vossignoria, poiché il nostro viaggio ci ha portato in molti luoghi, taluni belli e piacevoli come questo, tal altri bui, freddi e pericolosi; purtroppo però, alcuni membri della nostra compagnia hanno trovato un tristo destino nell’ultima tappa. Il nostro pellegrinaggio non è ancora concluso, e nei nostri cuori arde il desiderio di compierlo al fianco dei nostri amici caduti, ché il loro sacrificio è valso la nostra salvezza, e loro al nostro posto agirebbero alla stessa maniera».
Nonostante il volto del sacerdote sia coperto, il Bardo capisce con soddisfazione che le sue parole sono state ascoltate con stupore ed ammirazione; mantiene quindi il silenzio finché il Capochierico, immerso nei propri pensieri, non prende la parola per rispondere alla richiesta avanzatagli.
«Il tuo verbo è molto deciso, eppur così dolce all’udito… mi chiedo cosa si provi a sentirti cantare». Joif allora intona una delle sue soavi melodie, travolgendo i cuori e le menti di coloro che la odono. Quando il canto s’interrompe, nessuno sa quanto sia durato, e tutti si sentono come se destati da un bellissimo sogno.
L’arcidiacono l’osserva attraverso la preziosa maschera d’avorio per lungo tempo, ed il Bardo sente il peso dei suoi penetranti occhi; ciononostante continua a mantenere il suo fisso sulle cavità, sostenendone il peso e la forza. Infine il sacerdote parla: «Molto bene, il vostro desiderio verrà esaudito. Portate qui i corpi». Kerwyn e Xanter adagiano dunque i loro zaini sul pavimento e, dopo averli aperti, ne estraggono con cura le spoglie di Dorian e Veit, e le depositano ove viene loro indicato; Joif invece, che trasportava il corpo di Galdor, si limita ad osservare impassibile mentre da una delle guardie vengono portati nella stanza numerosi diamanti grezzi. Mentre con un martello i diamanti vengono ridotti in polvere, l’arcidiacono si avvicina ai corpi con interesse: quando il suo sguardo si posa su Dorian, si gira verso il Bardo, mormorando: «È saggio riportare in vita questa creatura? Lei ed i suoi simili sono esseri empi, pregni di malvagità e disposti al tradimento alla minima occasione. Non posso credere che vi accompagniate a simili esseri».
«Le apparenze talvolta possono ingannare» replica Joif, impassibile, «codesto infatti non è realmente un Troglodita. Dovete sapere che un tempo era umano, ma per riportarlo in vita abbiamo accettato un compromesso: “La sua anima in un nuovo involucro” disse il Druido che lo riportò indietro dai morti».
L’arcidiacono, dopo aver ascoltato le spiegazioni, si volta nuovamente ad osservare il Troglodita, come se la curiosità lo spingesse a controllare con cura una rara forma di vita; ad un tratto però, nota il simbolo che pende dal suo collo, ed immediatamente ne riconosce il disegno.
«Costui è un sacerdote di Kord!» esclama a voce alta, con tono insieme irritato e sgomento.
«È così» s’arrischia a parlare Xanter; «perché, è forse un problema?».
«Noi non c’immischiamo negli affari degli altri cleri, preferiamo occuparci dei nostri problemi. Sono già abbastanza complicati senza che un estraneo s’intrometta».
Kerwyn e Joif rimangono in silenzio, incapaci di replicare, ma l’Elfo ribatte, il tono di voce che si alza rapidamente: «Problemi? Siamo nel bel mezzo di una festa, di quali problemi sta parlando?! Inoltre Dorian non è una spia né un impiccione, e non ha alcuna intenzione d’intromettersi nei vostri affari. E poi non dimenticate che ha dato la sua vita per tre seguaci di Olidammara: un simile gesto dovrà pur significare qualcosa!».
Il Capochierico lo fissa lungamente, ma Xanter sostiene il pesante sguardo senza batter ciglio: alla fine è il sacerdote a doverlo distogliere, ma al Ranger non sfugge uno scintillio nei suoi occhi, poco più che due fessure al di là della maschera.
«Anche la tua favella è travolgente come un fiume in piena» dice infine, «e nel tuo cuore alberga più coraggio di quanto ne abbia mai visto in un solo essere. Indubbiamente la vostra compagnia è vincolata da un forte legame, e nel vostro destino intravedo grandi gesta, degne degli eroi dell’antichità». S’interrompe un istante, passeggiando avanti e indietro, immerso nei pensieri, poi riprende: «Molto bene: concederò la vita anche all’infedele, ma questi dovrà versare un tributo a questo tempio, o le sue mura diverranno la sua prigione».
I tre compagni si scambiano uno sguardo raggiante, quindi accettano il patto, chiedendo all’arcidiacono di procedere. Il rituale viene approntato, la sala è attrezzata per l’occasione, e dopo alcune preghiere al suo dio il sacerdote dà inizio al complicato rito. Il primo corpo su cui opera è quello di Veit, ed i tre compagni osservano attentamente le potenti energie della vita fluire attraverso le sue mani, fondersi con i diamanti e riportare dai morti l’anima del valoroso Guerriero; quando tutto si conclude, Brottor Veit spalanca i suoi occhi e mette a fuoco gli amici. Questi gli vanno incontro per accertarsi delle sue condizioni, quindi lo sollevano e lo trascinano in un angolo, per non intralciare il rituale di Dorian: il corpo di quest’ultimo viene adagiato dove poco prima giaceva quello di Veit, e le medesime funzioni vengono operate per la seconda volta. Quando però l’energia comincia a fluire nel corpo di Dorian, questo viene avvolto da una luce accecante, che lo divora nascondendolo alla vista; i compagni si meravigliano di un tale evento, non avendolo mai visto prima d’ora durante un rituale di resurrezione, ma prima che possano fare qualsiasi cosa la luce si affievolisce, e dove un istante prima era adagiato il cadavere squamoso ed inerte di un Troglodita, ora giace un semplice Umano avvolto in una possente corazza: le zampette tozze sono tornate ad essere gambe lunghe e forti, il busto è nuovamente umano, mentre la larga coda è svanita senza lasciare traccia. Il volto inquieto, un tempo affusolato e spaventoso, ha ripreso la sua vecchia forma leggermente ovale, e dal capo indomabili capelli di fiamma ricadono verso il basso. Quando le palpebre si schiudono, le sue bionde pupille si guardano intorno stralunate, finché non riconoscono i volti dei quattro compagni, i quali le fissano di rimando, animati dalla felicità.
Dorian viene raggiunto dai compagni ed aiutato ad alzarsi. I compagni lo sorreggono finché egli non si riprende del tutto dalla travolgente esperienza appena vissuta, dopodiché l’arcidiacono di Olidammara parla: «Bene. Sia al Guerriero che all’infedele sacerdote è stata restituita la vita perduta». Il Chierico prova a prendere la parola per esternare la sua profonda gratitudine, ma l’arcidiacono riprende il suo discorso, e lui preferisce non interromperlo: «Ciò che fu detto è stato fatto. Ora l’infedele potrà pagare il suo tributo».
Dorian rimane sorpreso quando realizza di dover pagare un tributo, quindi si avvicina a Joif domandandogli spiegazioni. «Non avevamo altra scelta» gli risponde questi, «quando ha scoperto che non sei un seguace di Olidammara si è inizialmente rifiutato di riportarti in vita. Xanter è riuscito a convincerlo, ma ha comunque richiesto il pagamento di un tributo da parte tua».
Non avendo alternative, Dorian si rivolge dunque al supremo sacerdote innanzi a lui: «Così sia. In cosa consiste codesto tributo?».
«Questo clero t’impone di donare ad Olidammara 35000 monete d’oro, come ricompensa per il grande servizio che ti è stato fatto».
L’enorme somma lascia l’intero gruppo a bocca spalancata: nessuno di loro si aspettava una richiesta così elevata per una resurrezione eppure, essendo questo un tempio ad Olidammara, lo strozzinaggio è probabilmente uno dei metodi per accumulare le ricchezze. Dorian è in preda ad un grande conflitto interiore; sembra quasi sul punto di rifiutare, quando infine mormora, la lingua stretta tra i denti:
«Va bene. Il tributo sarà pagato».
L’incredibile somma di preziosi viene ammassata con cura: oltre a monete di tutti i tagli, anche oggetti ed armi vengono utilizzati per raggiungere il valore finale della ricompensa. I compagni del Chierico si danno da fare come possono, aiutandolo a raggiungere la somma contribuendo anche di tasca loro. Alla fine, il denaro necessario viene raccolto, ed i cinque compagni si sentono incredibilmente alleggeriti.
«Perfetto» afferma il Capochierico fissando il mucchio di beni, una nota di soddisfazione nella voce, «ora siete liberi di andare»; poi però si rivolge ancora a Dorian: «tu non puoi ancora lasciare questo tempio». Gli avventurieri lo fissano con sguardo allibito, domandandosi cos’altro dovesse ancora fare il loro compagno prima di poter essere lasciato andare.
«Cosa mi trattiene ancora qui?» domanda questi, sforzandosi di mantenere una voce calma e controllata.
«Le nostre tradizioni» è la risposta. «Quando un infedele come te riceve un servizio in un giorno di festa, deve rimanere nel tempio e partecipare ai festeggiamenti in segno di rispetto».
La notizia fa tirare agli avventurieri un sospiro di sollievo, tutti temendo di dover portare a termine incarichi pericolosi o dispendiosi, allorché Joif chiede: «Quanto dureranno i festeggiamenti?».
Il sacerdote non risponde subito, limitandosi a fissarli attraverso la sua preziosa maschera d’avorio, quindi risponde: «Tutta la notte».
Dorian si sente mancare: sperava di poter dormire per qualche ora, essendo esausto dopo il rituale di resurrezione, e la risposta del sacerdote infrange le sue speranze come un martello vibrato contro un fragile specchio. Tuttavia non può sottrarsi a quelli che sono i suoi obblighi senza scatenare l’ira di tutti gli occupanti del tempio; accetta dunque a malincuore, dando appuntamento ai compagni all’alba. Questi, anche loro molto stanchi, preferiscono ritirarsi e cercare una locanda ove riposarsi e lenire la stanchezza causata dalle loro innumerevoli fatiche. La ricerca è breve, essendo la città piuttosto piccola, e ben presto raggiungono un’accogliente taverna: ivi si concedono un’abbondante cena a base di carne e birra, dopodiché si salutano e salgono nelle loro rispettive camere. Il sollievo di poter dormire in un comodo letto dopo tante notti passate in un giaciglio è tale che gli avventurieri cadono da subito in un profondo sonno ristoratore, animato da splendidi sogni.
Il povero Dorian, nel frattempo, viene portato nell’ampia sala da ballo, dove centinaia e centinaia di creature delle razze più improbabili ballano e cantano, in un vortice di vino, droghe e lussuria; lo sventurato Chierico viene obbligato suo malgrado ad unirsi alla baraonda, ancora fasciato dalla sua imponente corazza che lo rende goffo e lento. L’umiliazione subita è gravissima, ma lui cerca di non pensarci, ringraziando piuttosto Kord per avergli concesso un’altra occasione per adempiere ai suoi doveri di sacerdote guerriero.
“Per lo meno adesso siamo di nuovo uniti” pensava, mentre tentava di muoversi nonostante le placche di metallo lo impacciassero, “ma quale destino ci riserverà il futuro? Chissà... solo proseguendo il nostro viaggio potremo scoprirlo...”.

Fine del Prologo



Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:03
 
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view post Posted on 20/5/2007, 12:59
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Come ve lo devo far capire che è Inejhas? :blink:
 
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Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

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Ma perché, me l'hai scritto da qualche parte? -_-
E va bene, ora correggo anche questo... O.o

E adesso avanti con il Capitolo 1!!


Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 1 - Una nuova, inaspettata conoscenza
M
entre Kerwyn e Veit vanno all’armeria della città per trovare un’armatura nuova al Guerriero e mentre Dorian continua suo malgrado a ballare nel Tempio, Joif Thoriandrif sta cercando di iniziare dei piccoli Elfi alla fede di Olidammara e perciò si rende loro idolo e li trascina tutti nel tempio, dove ha intenzione di presentarli al Capochierico; i bambini però vorrebbero andare fuori a giocare a palla, e un Halfling di nome Buddinock dice a Joif che per vedere il Capochierico è necessario poggiare la propria mano su un piccolo altare di pietra al centro della stanza. Joif senza sospettare di nulla poggia tranquillo la sua mano sull’altare, come aveva fatto anche Kerwyn prima di lui, e si ritrova incollato al blocco di pietra da un forte collante di natura chimica; Buddinock ammette di aver fatto uno scherzo all’ingenuo Bardo e inizia a ridere di cuore, mentre il povero Joif tenta di tutto per liberarsi.
Nel frattempo Kerwyn e Veit arrivano all’armeria e chiedono al commerciante una Corazza di Piastre per il Guerriero, e Veit specifica che deve essere di colore nero, cioè il colore del Mithral, e il negoziante dice loro di tornare il giorno dopo con 250 Monete d’Oro.
Intanto Avaluis, rimasto per tutto il tempo alla locanda, decide di provare a mangiare uno di quei funghi che ha raccolto sul terreno dietro la locanda: una volta mangiatone uno, nota di essere diventato più grosso e più forte, come se fosse in atto un effetto magico di qualche sorta, ma contemporaneamente si accorge che il fungo è velenoso e sente le forze abbandonarlo rapidamente, mentre la testa inizia a dolergli; nonostante il veleno però, Avaluis decide di uscire dalla locanda, dove nel frattempo aveva attirato l’attenzione generale, e di provare a mangiare un altro fungo per vedere se hanno effetti diversi: mangiato il secondo fungo, lo Stregone si accorge di essere diventato ancora più grande e più forte di prima, ma il veleno, si fa sentire anche per quest’altro fungo. Inoltre Avaluis è ora colpito da una dipendenza così terribile da questi funghi da addentarne subito un altro, diventando più grosso ma sempre più debole a causa del veleno; dopo il terzo fungo la tentazione è irresistibile e lo Stregone è obbligato da se stesso a cacciarsene in bocca un altro. Ormai pallido a causa del veleno e sull’orlo della follia, Avaluis non si rende più conto delle sue stesse azioni e finisce per uccidersi con un suo stesso incantesimo: questa è la fine dello Stregone Avaluis, diventato un colosso in una città di funghi ed esploso suicida sotto gli occhi di tutti. In quel momento però Kerwyn e Veit che avevano notato la scena si precipitano sul posto e Kerwyn con la sua abilità ladresca riesce a recuperare i resti del compagno e il suo equipaggiamento: il Chierico gli avrebbe reso i dovuti onori.
Più tardi, a sera inoltrata, Dorian viene cacciato fuori dal tempio di Olidammara in modo molto scortese a causa della sua incompetenza nel ballo e, inconsapevole di tutto, si avvia verso la locanda, distrutto dopo tutta quella fatica. Per strada però incontra un tipo decisamente poco comune nelle strade della città: uno strano tipo abbigliato con un’armatura che lo riveste interamente, di un materiale fulgido e rilucente che alla luce della luna risplende di un bagliore quasi accecante, in groppa ad un gigantesco cavallo interamente bardato, come se dovesse scendere in guerra da un momento all’altro, anch’esso equipaggiato con un’armatura dello stesso materiale; il cavaliere ferma Dorian e gli domanda dove trovare la residenza del sindaco, al che Dorian gliela indica e poi, insospettito dal comportamento del suo interlocutore, gli domanda chi è e cosa fa da queste parti, visto che non è solito vedere gente simile in questo villaggio. Il cavaliere allora si toglie l’elmo di testa mostrando una lunga chioma bionda e occhi azzurri, e rivela al Chierico di essere il principe Inejhas delle Terre dell’Ovest, in missione segreta da queste parti. Ma mentre il Chierico e il Principe parlano, arrivano sotto la locanda in cui alloggia il gruppo, e da una finestra si affaccia Veit, che inizia a riempire il Principe di parolacce di ogni tipo, supportato anche da Kerwyn, e arriva anche a tirare il vaso da notte contro il Principe, che però rimbalza su una specie di barriera invisibile attorno al rampollo reale e manca di un soffio la testa di Dorian. Allontanatisi dalla locanda, Dorian si fa raccontare dal Principe in cosa consiste questa missione segreta, e questi gli rivela che deve raggiungere la città Nanica da cui ha avuto origine l’invasione dei Demoni, e deve fare luce sulla faccenda. Dorian decide allora di rivelare al Principe che lui è uno dei pochi sopravvissuti di quella catastrofe, e il solo che ne abbia visto tutti gli sviluppi, e si propone di accompagnarlo fin lì con il suo gruppo in qualità di scorta personale. Il Principe allora fissa l’appuntamento per il giorno dopo a sole alto presso il più imponente edificio della città, e poi va a parlare col Sindaco. Dorian quindi Ritorna alla locanda e si addormenta.
La mattina dopo Kerwyn e Veit si svegliano prima degli altri e vanno insieme all’armeria a ritirare l’armatura per il Guerriero. Arrivati al negozio, il fabbro mostra l’armatura ai due, chiaramente una Corazza di Piastre realizzata interamente in Mithral, e dice loro che questa era l’unica armatura di questo colore, e che l’aveva pagata un po’ di più del previsto, per cui adesso avrebbero dovuto dargli 5050 Monete d’Oro invece che 250. Veit protesta dicendo che la somma pattuita era di 250 Monete d’Oro e che lui non aveva altro denaro con sé, mentre Kerwyn cerca di convincere il negoziante, a cui avevano detto dell'armatura in Mithral che era stato imbrogliato, e che il Mithral non era altro che una lega di funghi solidificati. Ma il negoziante gli risponde che lui non può andarci a perdere in questo modo, e se non hanno i soldi per pagare l'armatura, l’avrebbe venduta a qualcun altro. Allora Kerwyn, ormai stanco di discutere con le buone maniere, decide di adottare un’altra soluzione: finge di andarsene via, e una volta uscito fuori dall’armeria si camuffa grazie al Cappello del Camuffamento in un ecoterrorista, rientra nell’armeria, farfuglia qualche parola in qualche lingua sconosciuta e poi stende il negoziante con un colpo di manganello; quindi lui e Veit, raccolta l’armatura, se la danno a gambe con il bottino dei vincitori.
Durante questi avvenimenti Joif, che ha passato la notte incollato a quell’altare, le studia tutte per cercare di liberarsi: prova con la forza bruta, ma non ha effetto, tenta di separare la mano dalla colla usando il suo falcetto ma con l’unico risultato di incollare anche l’arma, chiede aiuto ai bambini che provano a tirarlo via inutilmente; infine Buddinock dice che per il modico prezzo di 10 Monete di Rame sarebbe disposto ad usare una goccia del suo potentissimo solvente in modo da liberare la mano di Joif. Questi accetta e l’Halfling estrae una boccetta contenente uno strano liquido viola, che Joif non è in grado di riconoscere, ma che a prima vista on ha l’aria di essere liquido magico. Buddinock lascia cadere una singola goccia sull’altare, ma sbaglia i calcoli e la goccia, invece di finire sulla colla, cade sulla mano del povero Bardo; si ode uno sfrigolio, un grido di dolore e poi Joif vede che la goccia di acido gli ha lasciato un buco nella mano. Furibondo strappa la boccetta da mano dell’Halfling e cerca di farne cadere lui una goccia sulla colla, sennonché una pallonata improvvisa lo colpisce dietro la nuca e gran parte dell’acido nella boccetta si versa sulla mano del povero Bardo il quale, dopo atroci sofferenze, si accorge che l’acido gli ha sciolto quattro dita, lasciandogli solo il pollice. Buddinock gli dice che gli dispiace per quello che è successo, ma se non avesse agito d’impulso ora avrebbe ancora la mano, e Joif per tutta risposta gli tira la boccetta col resto dell’acido in faccia: l’acido investe l’Halfling davanti agli occhi di Joif e dei trenta bambini Elfi, e in una nuvola di fumo il suo corpo si dissolve lentamente, lasciando solo qualche pezzo di osso. Tra i bambini si scatena il panico generale, tutti corrono verso la porta, ma questa è chiusa e la maniglia è troppo alta per loro; così in un impeto di disperazione alcuni bambini ne afferrano altri e iniziano a usarli come arieti contro la porta, uccidendone ben quattro senza alcun risultato. Joif allora per calmare i bambini cerca di affascinarli per farli addormentare, e far credere loro che sia stato solo un brutto sogno. Ma non riesce ad addormentarli, sebbene riesca a calmarli con la sua voce melodiosa, così i bambini rimangono rannicchiati in un angolo mentre Joif va alla ricerca disperata di qualche recipiente in cui nascondere i resti dell’Halfling.


Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:03
 
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Jeff Walker
view post Posted on 20/5/2007, 13:55




cori ma io su ste cose nn voglio applicarmi XD
 
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view post Posted on 20/5/2007, 14:36

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Diciamo meglio che non sai come applicartici su 'ste cose... :shifty:

Edited by Ramiant - 3/10/2007, 17:22
 
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Axmal
view post Posted on 20/5/2007, 19:16




quoto ramiant :lol:
comunque, il bardo ha fatto un bel casino in questa sessione, non è vero :lol: :asd:
BARD RULEZ
MWHUAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA
:banas: :banas: :banas: :banas: :banas: :banas: :banas: :banas: :banas:
 
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Saitek
view post Posted on 21/5/2007, 19:51




Bravo e bellu! XD

Spetto i lresto :P
 
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NOCTIFERO89
view post Posted on 23/5/2007, 14:12




raga il dialogo cmq lo postato in cose divertenti ......
 
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view post Posted on 23/5/2007, 19:09

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

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Se ce la faccio il resto lo posto sabato notte...

Edited by Ramiant - 3/10/2007, 17:23
 
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::Veit::
view post Posted on 24/5/2007, 14:01




CITAZIONE
La mattina dopo Kerwyn e Veit si svegliano prima degli altri e vanno insieme all’armeria a ritirare l’armatura per il Guerriero. Arrivati al negozio, il negoziante mostra l’armatura ai due, chiaramente una Corazza di Piastre in Mithral, e dice loro che questa era l’unica armatura di questo colore, e che l’aveva pagata un po’ di più del previsto, per cui adesso avrebbero dovuto dargli 5050 Monete d’Oro invece che 250. Veit protesta dicendo che la somma pattuita era di 250 Monete d’Oro e che lui non aveva altro appresso, e Kerwyn cerca di convincere il negoziante, a cui avevano detto che l'armatura era in Mithral che lo avevano imbrogliato e che il Mithral non era altro che una lega di funghi solidificati. Ma il negoziante gli risponde che lui non può andarci a perdere in questo modo, e se non hanno i soldi per pagare l'armatura, l’avrebbe venduta a qualcun altro. Allora Kerwyn, ormai stanco di discutere con le buone maniere, decide di adottare un’altra soluzione: finge di andarsene via, e una volta uscito fuori dall’armeria si camuffa grazie al Cappello del Camuffare in un ecoterrorista, rientra nell’armeria, farfuglia qualche parola in qualche lingua arcana e poi stende il negoziante con un colpo di Manganello; quindi lui e Veit, raccolta l’armatura, se la danno a gambe con il bottino dei vincitori.

ahahaha troppo lolloso :D :D :D
 
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view post Posted on 24/5/2007, 15:43

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

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Tu sei lolloso :lolxd:
Non so come faremmo senza di voi...


Edited by Ramiant - 3/10/2007, 17:24
 
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view post Posted on 24/5/2007, 15:48
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quoto
 
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