| @ Galdor: Senti, perché non posti tu il Dialogo Fine tra il Principe Inejhas e il Guerriero Brottor Veit?
Ed ora ecco la parte finale del Prologo!Dal Diario di un Chierico... Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo Prologo - Parte 3M uovendosi a spirale, Xanter si lascia cadere verso terra, mulinando le spade che inferiscono le spaventose creature, provocando loro due profondi tagli all’altezza del petto; queste tuttavia non sembrano accusare il dolore come pronosticato, continuando inarrestabili ad avanzare verso la loro preda. Veit libera la spada dalla presa del lupo con un violento strappo, augurandosi in cuor suo di avergli spaccato qualche zanna, quindi si riporta in posizione di guardia ed attende l’assalto; la belva gli gira intorno lentamente, studiandolo con i suoi occhi da predatore, sorpresa dalla totale assenza di paura nei suoi occhi. Quindi si lancia: Veit non si aspettava un sì rapido movimento, ed è costretto a piegarsi sulle ginocchia pur di evitarlo, rinunciando ad un facile affondo; tenta ugualmente di voltarsi ed attaccare prima che il lupo guadagni nuovamente un appoggio, ma ancora una volta è stupito dalla rapidità dell’avversario, il quale si volta ben prima di lui e gli assesta una zampata che lo getta in terra. Kerwyn intanto sfrutta la sua agilità sovrumana per liberarsi dalla mischia, quindi mette mano a due pugnali ed inizia a correre in direzione di Galdor, rimasto nel frattempo indifeso: i movimenti del Ladro sono troppo rapidi per il Druido, il quale tenta invano di colpirlo con la sua scimitarra. Kerwyn calcola in un istante tutti i movimenti, quindi con un balzo schiva la spada; mentre ancora fluttua in aria, quasi fosse privo di qualsivoglia peso, il Ladro si volta verso Xanter, scaglia i due pugnali che si conficcano nelle schiene dei ghiottoni, e ricade in terra alle spalle di Galdor, stringendo tra le mani il suo manganello. Si alza dunque in piedi e lo fissa per un istante che al Druido pare interminabile. «Meriteresti molto più di questo, vile canaglia!» urla, mentre la mano che stringe l’arma la porta nel cielo ad oscurare il sole, per poi farla ricadere sul capo di Galdor con un tonfo secco. Gli occhi del Druido si opacizzano, un velo di lacrime li appanna, mentre le sue membra ricadono flosce al suolo. Kerwyn fissa il corpo inerte di colui che una volta considerava un compagno, dopodiché sputa al suolo e corre a dare manforte a Xanter, estraendo lo stocco dalle pieghe della scura cappa. Ma nonostante Galdor giaccia al suolo privo di conoscenza, i suoi animali non sono minimamente indeboliti, e non ricevendo nuovi ordini continuano a tentare di portare a compimento l’ultimo a loro impartito: uccidere i nemici del Druido. La battaglia si fa sempre più aspra e dura, ma gli animali, impregnati del potere della natura, sembrano quasi inarrestabili: Xanter impegna egregiamente uno dei due ghiottoni in un duello serrato, lame contro artigli, ma il suo gemello fa valere la superiorità fisica innegabile nello scontro con Kerwyn: questi unisce nella sua lotta l’agilità e la strategia, vanificando i più furiosi attacchi del suo avversario, ma sempre più numerose sono le gocce di sudore che gl’imperlano la fronte, e la sua prontezza di riflessi è rallentata ad ogni schivata. Veit infine è impegnato dal temibile lupo grigio, le cui dimensioni raggiungono ora quelle di un orso adulto: la belva, a dispetto della sua stazza imponente, e dell’incomparabile potenza fisica, è incredibilmente rapida, ed il Guerriero riesce a malapena a difendersi dai suoi assalti, che raggiungono ritmi sempre più serrati, aumentando gradualmente di ferocia. Anche lo spadaccino è stremato dallo scontro, e la sua spada è finora riuscita soltanto a fermare le avide zanne del mostro. Il mortifero artiglio saetta per l’ennesima volta, ed uno schizzo di sangue macchia il grigio pelo del ghiottone, mentre Kerwyn si porta d’istinto la mano al fianco per contenere la fuoriuscita di sangue. Il mostro gli è nuovamente addosso, e lui sa di non avere forze sufficienti per spostarsi in tempo dalla traiettoria della zampata che sta per coglierlo; istintivamente serra gli occhi, alzando il braccio sinistro a proteggere il volto, ma un ruggito stridulo della bestia lo spinge a riaprirli: due lame gemelle sporgono dal torace del ghiottone che si contorce in preda agli spasimi, mulinando le braccia nel vano tentativo di far cessare il dolore lancinante, mentre alle sue spalle Xanter conficca le sue armi sempre più a fondo nella schiena della belva. Questa si dimena ancora, ma alla fine collassa, due rivoli di sangue che scorrono dalle ferite al petto mentre l’alone magico si disperde; dopo pochi altri istanti, il corpo inerte si dissolve in una pallida vampa verdastra, lasciando al suolo semplici fasci d’erba ed arbusti secchi e spezzati. Ma l’Elfo paga a caro prezzo l’aiuto offerto a Kerwyn, ché il suo principale nemico, temporaneamente spiazzato da un colpo d’elsa portato al suo muso, si riprende, e lo attacca alle spalle nel preciso istante in cui l’altro nemico si dissolve nell’aria: il colpo ha la potenza d’un ariete, ed inferisce la schiena di Xanter con inaudita potenza. L’abile spadaccino viene scagliato un metro più avanti, le lame che volano lontane, ed atterrando sente una costola incrinarsi: il dolore lo coglie, ma lui lo ignora con una smorfia di sofferenza, e si rialza con maggior vigore di quanto osasse sperare. La belva gli è di nuovo addosso, ma Kerwyn la impegna con maestria perfetta, consentendo al compagno di recuperare le armi perdute e di tornare nuovamente a lottare al suo fianco. In quel momento però, un urlo straziante spezza la tensione, e i due compagni si voltano in direzione di Veit, impegnato a duellare con il letale lupo, e finora obliato: la sua spada giace conficcata nel terreno, a poca distanza dalla coda della belva, mentre il suo proprietario è steso su un letto del suo stesso sangue, gli aguzzi denti lupeschi conficcati nella clavicola sinistra. L’animale esibisce un profondo taglio sul fianco sinistro, ma non sembra preoccuparsene minimamente, mentre le sue fauci stringono la spalla del Guerriero, da cui il sangue fuoriesce copioso. «Veit!» urla il Ranger, vedendolo agonizzante in balia del nemico; ma Kerwyn è più rapido di lui, ed estratto un pugnale dalla cintura, lo scaglia con tutta la forza verso la fiera. La lama raggiunge il bersaglio con mortale precisione, squarciandogli un occhio e piantandosi nel cranio; ma l’alone di magia druidica protegge ancora il lupo, ed il colpo non è sufficiente ad ucciderlo. Il dolore causato basta però a distoglierlo dal suo obiettivo, allentando la presa che le fauci esercitavano su Veit. In un balzo, Xanter gli è accanto, cercando di tamponare l’orribile ferita come può: ma il sangue sgorgato è troppo perché sia possibile sopravvivere, persino nel caso di Brottor Veit. Il suo volto madido di sudore è pallido come un velo, ed i suoi occhi, pur spalancati, sono nebulosi e ciechi. «Puoi ancora farcela, amico mio! Non morire!» lo implora il Ranger, nonostante sia ben consapevole della falsità delle sue stesse parole. Al sentire la sua voce, Veit sembra riacquistare parte del raziocinio perduto, e con l’ultimo alito di vita rimasto mormora: «Xanter... D-dovete... dovete fuggire... al più presto...», dopodiché i suoi occhi si chiudono e la testa gli ricade sull’erba, immobile. La collera che investe l’Elfo annebbia completamente gli altri suoi pensieri. I suoi occhi colmi d’odio furioso, che rasenta la follia, si soffermano un istante sul ghiottone che ancora colpisce Kerwyn senza alcuna pietà: lo scatto che compie il Ranger è accompagnato dal tetro sibilo delle sue spade che fendono il vento, roteando sempre più velocemente nelle sue mani mentre si avvicinano al bersaglio, ancora ignaro di ciò che lo aspetta. Quando il mostro si accorge di Xanter è ormai troppo tardi: le lame rotanti hanno raggiunto una velocità tale da lacerare la sua pelle rinvigorita come se tagliassero una sottile fetta di carne. I brandelli mutilati schizzano in cielo, scagliati in ogni direzione dalla spaventosa furia, e ricadono a terra un momento prima di dissolversi in scuro fumo, intorno all’Elfo che fissa il suolo, lo sguardo celato dai lunghi capelli che gli ricadono sul viso, le lame gemelle schizzate di sangue puntate verso il suolo. Kerwyn contempla l’amico all’unisono lieto ed intimorito, e sussulta leggermente quando questi alza il capo, rivelando uno sguardo freddo ed iroso. Ma nessuno dei due ha tempo di proferir parola, poiché una enorme massa grigia balza contro Xanter, percuotendolo con una zampata che lo manda a sbattere contro il tronco d’un gelso; nell’impatto, la costola incrinata si spezza, e nuovamente il dolore sommerge il Ranger, che invano cerca di rimettersi in piedi. Il lupo concentra tutta la sua attenzione su Kerwyn il quale, già pesantemente debilitato dallo scontro con i due mostri evocati, non ha alcuna speranza di uscire vincitore dallo scontro: ben presto infatti la fiera colpisce anche lui, e la spalla sinistra si sloga nell’impatto. Ormai menomato e sfinito, il Ladro non rappresenta più un pericolo, bensì una facile preda, e la bestia balza, le fauci assassine spalancate nella sua direzione, ancora imbrattate dal sangue di Veit. Eppure, con un guizzo di vitalità dettato forse dalla disperazione, Kerwyn riesce ad accovacciarsi in tempo, e con il braccio destro conficca il suo stocco nel fianco del nemico. La belva, già rallentata dalla profonda ferita all’occhio, ruggisce in preda a rinnovato dolore, ma nelle convulsioni assesta un’altra artigliata alla sua preda, che collide con il suolo perdendo i sensi, mentre il suo respiro ed i suoi battiti rallentano. “Se va avanti così, periremo di sicuro” pensa Xanter, cercando di rimanere cosciente mentre lotta con il dolore; “non avrei voluto arrivare a questo, ma sembra che ormai non resti altra scelta”. Quindi, nella sua mente si concentra, inviando al suo prezioso compagno alato l’ordine di scendere in picchiata verso il corpo del Druido, e di colpirlo con una beccata che lo uccidesse. Il falco ubbidisce senza esitare all’ordine del suo padrone, quindi vola ad un’altezza considerevole e si lancia in picchiata contro la gola di Galdor; il lupo però si accorge della sua presenza e delle sue intenzioni, e sferra un potente colpo di artigli che lo colpisce in pieno. Un vortice di piume si sprigiona nel punto d’impatto, ed il corpo del falco viene scagliato lontano da un colpo che avrebbe ucciso persino un leone. Eppure, per caso o per destino, lo stesso alone magico che circonda il lupo avvolge anche il falco, le cui membra sono rafforzate e rinvigorite dal potere della natura, e gli permettono di sopravvivere al tremendo attacco. Recuperata la stabilità, dunque, il volatile compie un altro giro per guadagnare velocità, dopodiché si lancia senza indugio verso il corpo disteso in terra, evitando un nuovo assalto da parte del lupo: il becco affilato perfora con inaspettata facilità la gola del Druido, e questi spalanca gli occhi in una contrazione improvvisa, mentre il dolore lo afferra e lo arde, consumandolo fino all’istante della sua morte, proprio come era accaduto poco prima a Veit. Quando il cuore druidico di Galdor cessa di pulsare, la magia che avvolgeva i due animali si dissolve in un guizzo di luce verdastra, ed il terribile lupo assetato di sangue torna ad essere un semplice lupo delle terre del nord. Tuttavia, nonostante il suo padrone sia spirato, la belva non ha dimenticato gli ordini impartiti, e quando finalmente Xanter riesce a rimettersi in piedi gli si lancia contro, ringhiando; ma nonostante il Ranger si regga in piedi a fatica, con un unico colpo di spada spazza via il nemico, tenendo lo sguardo duro fisso al suolo. La battaglia era finita. Senza perdere altro tempo, Xanter corre a controllare le condizioni di Kerwyn: per fortuna scopre che è ancora vivo, anche se il suo respiro è impercettibile ed il battito si è quasi arrestato. Frugando nello zaino del compagno, ne estrae una bacchetta incantata, che immediatamente agita sulle ferite del Ladro: dalla punta dello strumento zampillano piccole stelline di pura forza vitale, che richiudono le ferite, riparano i danni e ripristinano il sangue perduto. Nel giro di alcuni secondi, Kerwyn apre gli occhi, ed assiste spaesato al deprimente spettacolo che gli si presenta intorno. Dopo aver accertato le condizioni del Ladro, Xanter, sfiora il suo torace con la bacchetta, e la magia agisce repentinamente, raddrizzando la costola spezzate e restituendo sollievo al sofferente Elfo. In quel momento Joif spunta da dietro ai cespugli, congratulandosi con i due per l’eccellente lavoro. Kerwyn e Xanter fissano il Bardo con sguardo omicida, ma decidono di non complicare ulteriormente la situazione già compromessa del loro gruppo. «Sarà bene raccogliere i corpi dei caduti, poi dovremo trovare un modo per riportarli in vita» commenta Xanter, lanciando un’occhiata amara ai cadaveri distesi di Veit e di Dorian. «Sì, hai ragione» risponde Kerwyn, «Joif, dacci una mano». I tre raggiungono i corpi di Veit e Dorian, che sistemano con grande cura nei loro zaini, per poterli trasportare fino alla prossima città, ove avrebbero cercato un mezzo che li riportasse in vita. Anche il Corpo di Galdor viene raccolto, e Joif lo ripone nella sua sacca: Kerwyn lo nota e fissa il corpo con profondo disgusto, ma non interferisce. «Bene» dice Xanter, una volta che i corpi sono al sicuro negli zaini, «faremo meglio a rimetterci in marcia»; ma all’improvviso i suoi, occhi acuti come quelli del suo fedele volatile, captano un impercettibile fruscio nel cespuglio alle spalle di Kerwyn. Un rametto con quattro foglie oscilla come mosso da una leggerissima brezza, nonostante da diverse ore non tiri un alito di vento; gli occhi dell’Elfo s’incrociano con quelli del compagno, e le sue dita sfiorano una delle else ai suoi fianchi. L’intesa tra i due è immediata ed esauriente, ed il Ladro in un istante sa già ciò che deve fare. Tutto si svolge nel giro d’un rapido baleno: dal cespuglio qualcosa balza, e mentre la sua traiettoria lo porta alle spalle di Kerwyn, l’incantesimo che ne occultava le forme sbiadisce come fuliggine lavata via da un secchio d’acqua dal corpo dello Gnomo, il corto mantello che sventola alle sue spalle, nella sua mano il pugnale seghettato ancora insanguinato. La sua mano libera si stringe sul mantello di Kerwyn, ma una grande sorpresa si delinea sul suo viso quando si accorge che il Ladro si è chinato come se sapesse esattamente ciò che stava per succedere. Il piccolo Gnomo vola al di sopra del suo bersaglio, mulinando le braccia in evidente difficoltà, il coltello che lampeggia frenetico nella sua mano; ma non fa in tempo ad atterrare, ché Kerwyn lo afferra per una caviglia, e dopo averlo roteato come una fionda lo scaglia al suolo con straordinaria violenza. La minuta creatura si schianta al suolo con un sonoro tonfo, il misterioso liuto che si frantuma nell’impatto; eppure, nonostante il duro colpo, si rialza inaspettatamente, pur portandosi una mano sulla spalla, là dove l’impatto è stato più sentito. Ma quando solleva lo sguardo, si trova ad un centimetro dalla punta del naso una delle spade di Xanter, che lo fissa con profondo disprezzo prima di mormorare a denti stretti: «La partita è finita. Hai perso». Le lame gemelle s’incrociano, poi affondano: il grido di dolore è acutissimo, e lo Gnomo viene nuovamente sbattuto a terra, due profondi squarci scuri a forma di croce sul suo torso. Xanter gli volta le spalle, riponendo le armi ai fianchi, ma nonostante le profonde ferite il nemico non è ancora sconfitto, e la sua mano si stringe più salda all’elsa del coltello, gli occhi colmi d’odio fissati sulla schiena del Ranger a prendere la mira. Prima del lancio però, il sole viene oscurato, e lo Gnomo alza d’istinto lo sguardo: Kerwyn Eagleye torreggia su di lui, l’affilato stocco tra le dita e la faccia oscurata dal riflesso del sole. Come un lampo il suo braccio si muove, ed il nemico non trova nemmeno il tempo di gridare, crollando definitivamente al suolo, la lama sottile che gli trapassa la gola. Joif osserva la scena con aria molto seria, assimilando i precisi movimenti dei compagni, senza interferire nello scontro. Al suo termine, controlla le condizioni del nemico, accertandosi della sua morte, quindi lo perquisisce a fondo, alla ricerca degli oggetti preziosi in suo possesso. Il coltello seghettato è reclamato da Kerwyn, e trova posto accanto ai numerosi pugnali agganciati alla cintura; il Bardo indossa invece il rosso mantello, infuso da un potente incantesimo che incrementa notevolmente le capacità retoriche e dialettiche di colui che lo indossa. I tre compagni si guardano intorno: è davvero incredibile che quello spiazzo di alberi abbattuti abbia veduto un tale dolore ed una tale rabbia che per sempre rimarrà incastonata nei contorti meandri di legno ed erba! Con un ultima occhiata malinconica si congedano da quel luogo, quindi riprendono la loro strada, diretti all’incontro con Avaluis, sperando in cuor loro di riportare indietro i caduti quel giorno. È ormai il crepuscolo, quando gli avventurieri raggiungono i confini di Khardrad: la città è un ridente agglomerato di case privo di fortificazioni, i cui abitanti sono gioviali ed affabili, assidui frequentatori della mirabile taverna che occupa il centro della piazza principale, “La Sirena”. I compagni varcano l’ampia porta e rimangono molto colpiti dalla splendida atmosfera del luogo: gli avventori mangiano, bevono, cantano e bisticciano come è tipico di qualsiasi locanda e taverna, ma il lungo viaggio e le innumerevoli difficoltà permettono ai tre, soprattutto a Joif, di apprezzare pienamente la pacifica situazione. Ad un tavolo, seduto in disparte, Avaluis sorseggia da un boccale di legno intagliato e giocherella con guizzi di fiamme da lui stesso generati, additato in lontananza da bambini che lo osservano ammaliati. Quando lo riconoscono, Joif, Xanter e Kerwyn lo raggiungono al tavolo, ove si accomodano ordinando cibo e birra in abbondanza; lo mettono dunque al corrente della situazione, che lo Stregone ascolta attentamente, quindi si rifocillano e si riposano, sfiniti ma lieti di aver raggiunto la loro meta. La notte però è ancora giovane, e Kerwyn dice loro che questa è l’ora migliore per cercare un tempio dedicato ad Olidammara. «Scusami, Kerwyn, ma non mi sembra il momento più adatto per lenire la lussuria ed il divertimento» commenta Xanter, con aria di rimprovero. «Dobbiamo ancora trovare un modo di riportare in vita Veit e Dorian». «Questo è l’unico motivo per cui voglio cercare un seguace di Olidammara» risponde questi, leggermente offeso, «chiederò loro di riportare in vita i nostri compagni, come favore per dei loro fedeli seguaci». «Kerwyn... forse dimentichi che la tartaruga non è certo un fedele di Olidammara» interviene Joif, pensando al Chierico. «Ma Veit lo è, così come noi due: con lui non avremo problemi» risponde questi. «Per quanto riguarda la tartaruga, nel peggiore dei casi gl’imporranno un pagamento. Le sue tasche sono piene quanto basta, qualunque possa essere la cifra». Poi sorride malizioso, imitato dal Bardo mentre immagina Dorian offrire un tributo ad Olidammara per essere stato riportato in vita. Usciti dalla locanda, Kerwyn e Joif si lanciano quindi alla ricerca di qualche individuo losco che possa condurli al cospetto di un sacerdote del dio degl’inganni. Poco tempo dopo tornano indietro, annunciando di aver preso contatto con un fedele che ha accettato di condurli al tempio nascosto. I quattro si dirigono quindi nel luogo dell’appuntamento, un viottolo sterrato che li conduce ad un’abitazione in rovina, innanzi alla quale passeggia lo stesso uomo con cui Joif e Kerwyn avevano parlato; la figura li nota, e silenziosamente li spinge all’interno delle mura. Nella spoglia struttura non c’è assolutamente nulla, eccetto un passaggio segreto nel muro, che rivela una scala dai numerosi gradini; i cinque scendono i gradini, con il seguace del tempio a chiudere la fila. La scala termina innanzi ad una porta massiccia, che però l’Umano apre senza fatica. Davanti ai loro occhi lo spettacolo è del tutto inaspettato: una moltitudine di persone, di qualsiasi età e razza, balla sfrenatamente sotto il ritmo di una musica travolgente; luci colorate saettano sulle ampie e lisce pareti, creando giochi spettacolari che esaltano l’estesi della festa. Qui e là, ragazze seminude passeggiano per la sala o parlottano con gli uomini, comodamente sdraiate su morbidi divani foderati. Alcuni tavoli sono occupati da bottiglie di vino e boccali di birra, e già in molti manifestano segni d’ebbrezza, nonostante il sole fosse andato a dormire da poco; il chiasso è quasi assordante, eppure non il più lieve rumore era giunto alle loro ben accorte orecchie prima di varcare la porta. Kerwyn e Joif si guardano intorno, la loro voglia di unirsi alla baraonda scatenata cresce ad ogni nota della canzone; ma la loro guida li invita a seguirla in una stanza appartata, lontano dalla folla e guardata da due figure inquietanti e massicce quasi quanto Brottor Veit. L’umano scambia con una di loro parole sottovoce, poi varca la soglia, seguito dai quattro compagni; questi osservano che la stanza in cui sono entrati è ben più piccola e sobria della precedente, evidentemente riservata al Capochierico ed al suo clero. Ed infatti, poco dopo si presenta loro un essere dalle sembianze umane, ma le larghe vesti gialle e la buffa maschera che porta sul volto impediscono ai quattro di scoprire la sua taglia fisica e persino la sua razza. «Come pattuito, vi ho condotto al cospetto del mirabile arcidiacono del dio Olidammara, artista d’inganni e sotterfugi, amante del gioco e delle dolci compagnie!» annuncia il loro contatto, quindi con un profondo inchino all’arcidiacono si ritira, tornando nella sala della festa. La sontuosa figura religiosa indossa un abito sontuoso, a riprova dell’importanza che hanno i beni materiali per i devoti di Olidammara, e sul suo petto scintilla un prezioso simbolo rifinito in oro e platino; alle sue dita, anelli ingioiellati scintillano alla luce delle candele, e la maschera stessa è d’avorio con smeraldi incastonati. Quando apre bocca, la sua voce risulta indiscernibile, forse a causa della maschera, o per effetto di qualche sotterfugio appositamente studiato; il suo tono tuttavia è dolce e professionale all’unisono, e cattura senza difficoltà l’attenzione dei presenti: «Cosa spinge tre forestieri come voi a chiedere un’udienza immediata con l’arcidiacono del grande Olidammara?». È Joif a rispondere, lodando tra sé le capacità dialettiche del sacerdote: «Siamo giunti qui da lei con tanta premura, vossignoria, poiché il nostro viaggio ci ha portato in molti luoghi, taluni belli e piacevoli come questo, tal altri bui, freddi e pericolosi; purtroppo però, alcuni membri della nostra compagnia hanno trovato un tristo destino nell’ultima tappa. Il nostro pellegrinaggio non è ancora concluso, e nei nostri cuori arde il desiderio di compierlo al fianco dei nostri amici caduti, ché il loro sacrificio è valso la nostra salvezza, e loro al nostro posto agirebbero alla stessa maniera». Nonostante il volto del sacerdote sia coperto, il Bardo capisce con soddisfazione che le sue parole sono state ascoltate con stupore ed ammirazione; mantiene quindi il silenzio finché il Capochierico, immerso nei propri pensieri, non prende la parola per rispondere alla richiesta avanzatagli. «Il tuo verbo è molto deciso, eppur così dolce all’udito… mi chiedo cosa si provi a sentirti cantare». Joif allora intona una delle sue soavi melodie, travolgendo i cuori e le menti di coloro che la odono. Quando il canto s’interrompe, nessuno sa quanto sia durato, e tutti si sentono come se destati da un bellissimo sogno. L’arcidiacono l’osserva attraverso la preziosa maschera d’avorio per lungo tempo, ed il Bardo sente il peso dei suoi penetranti occhi; ciononostante continua a mantenere il suo fisso sulle cavità, sostenendone il peso e la forza. Infine il sacerdote parla: «Molto bene, il vostro desiderio verrà esaudito. Portate qui i corpi». Kerwyn e Xanter adagiano dunque i loro zaini sul pavimento e, dopo averli aperti, ne estraggono con cura le spoglie di Dorian e Veit, e le depositano ove viene loro indicato; Joif invece, che trasportava il corpo di Galdor, si limita ad osservare impassibile mentre da una delle guardie vengono portati nella stanza numerosi diamanti grezzi. Mentre con un martello i diamanti vengono ridotti in polvere, l’arcidiacono si avvicina ai corpi con interesse: quando il suo sguardo si posa su Dorian, si gira verso il Bardo, mormorando: «È saggio riportare in vita questa creatura? Lei ed i suoi simili sono esseri empi, pregni di malvagità e disposti al tradimento alla minima occasione. Non posso credere che vi accompagniate a simili esseri». «Le apparenze talvolta possono ingannare» replica Joif, impassibile, «codesto infatti non è realmente un Troglodita. Dovete sapere che un tempo era umano, ma per riportarlo in vita abbiamo accettato un compromesso: “La sua anima in un nuovo involucro” disse il Druido che lo riportò indietro dai morti». L’arcidiacono, dopo aver ascoltato le spiegazioni, si volta nuovamente ad osservare il Troglodita, come se la curiosità lo spingesse a controllare con cura una rara forma di vita; ad un tratto però, nota il simbolo che pende dal suo collo, ed immediatamente ne riconosce il disegno. «Costui è un sacerdote di Kord!» esclama a voce alta, con tono insieme irritato e sgomento. «È così» s’arrischia a parlare Xanter; «perché, è forse un problema?». «Noi non c’immischiamo negli affari degli altri cleri, preferiamo occuparci dei nostri problemi. Sono già abbastanza complicati senza che un estraneo s’intrometta». Kerwyn e Joif rimangono in silenzio, incapaci di replicare, ma l’Elfo ribatte, il tono di voce che si alza rapidamente: «Problemi? Siamo nel bel mezzo di una festa, di quali problemi sta parlando?! Inoltre Dorian non è una spia né un impiccione, e non ha alcuna intenzione d’intromettersi nei vostri affari. E poi non dimenticate che ha dato la sua vita per tre seguaci di Olidammara: un simile gesto dovrà pur significare qualcosa!». Il Capochierico lo fissa lungamente, ma Xanter sostiene il pesante sguardo senza batter ciglio: alla fine è il sacerdote a doverlo distogliere, ma al Ranger non sfugge uno scintillio nei suoi occhi, poco più che due fessure al di là della maschera. «Anche la tua favella è travolgente come un fiume in piena» dice infine, «e nel tuo cuore alberga più coraggio di quanto ne abbia mai visto in un solo essere. Indubbiamente la vostra compagnia è vincolata da un forte legame, e nel vostro destino intravedo grandi gesta, degne degli eroi dell’antichità». S’interrompe un istante, passeggiando avanti e indietro, immerso nei pensieri, poi riprende: «Molto bene: concederò la vita anche all’infedele, ma questi dovrà versare un tributo a questo tempio, o le sue mura diverranno la sua prigione». I tre compagni si scambiano uno sguardo raggiante, quindi accettano il patto, chiedendo all’arcidiacono di procedere. Il rituale viene approntato, la sala è attrezzata per l’occasione, e dopo alcune preghiere al suo dio il sacerdote dà inizio al complicato rito. Il primo corpo su cui opera è quello di Veit, ed i tre compagni osservano attentamente le potenti energie della vita fluire attraverso le sue mani, fondersi con i diamanti e riportare dai morti l’anima del valoroso Guerriero; quando tutto si conclude, Brottor Veit spalanca i suoi occhi e mette a fuoco gli amici. Questi gli vanno incontro per accertarsi delle sue condizioni, quindi lo sollevano e lo trascinano in un angolo, per non intralciare il rituale di Dorian: il corpo di quest’ultimo viene adagiato dove poco prima giaceva quello di Veit, e le medesime funzioni vengono operate per la seconda volta. Quando però l’energia comincia a fluire nel corpo di Dorian, questo viene avvolto da una luce accecante, che lo divora nascondendolo alla vista; i compagni si meravigliano di un tale evento, non avendolo mai visto prima d’ora durante un rituale di resurrezione, ma prima che possano fare qualsiasi cosa la luce si affievolisce, e dove un istante prima era adagiato il cadavere squamoso ed inerte di un Troglodita, ora giace un semplice Umano avvolto in una possente corazza: le zampette tozze sono tornate ad essere gambe lunghe e forti, il busto è nuovamente umano, mentre la larga coda è svanita senza lasciare traccia. Il volto inquieto, un tempo affusolato e spaventoso, ha ripreso la sua vecchia forma leggermente ovale, e dal capo indomabili capelli di fiamma ricadono verso il basso. Quando le palpebre si schiudono, le sue bionde pupille si guardano intorno stralunate, finché non riconoscono i volti dei quattro compagni, i quali le fissano di rimando, animati dalla felicità. Dorian viene raggiunto dai compagni ed aiutato ad alzarsi. I compagni lo sorreggono finché egli non si riprende del tutto dalla travolgente esperienza appena vissuta, dopodiché l’arcidiacono di Olidammara parla: «Bene. Sia al Guerriero che all’infedele sacerdote è stata restituita la vita perduta». Il Chierico prova a prendere la parola per esternare la sua profonda gratitudine, ma l’arcidiacono riprende il suo discorso, e lui preferisce non interromperlo: «Ciò che fu detto è stato fatto. Ora l’infedele potrà pagare il suo tributo». Dorian rimane sorpreso quando realizza di dover pagare un tributo, quindi si avvicina a Joif domandandogli spiegazioni. «Non avevamo altra scelta» gli risponde questi, «quando ha scoperto che non sei un seguace di Olidammara si è inizialmente rifiutato di riportarti in vita. Xanter è riuscito a convincerlo, ma ha comunque richiesto il pagamento di un tributo da parte tua». Non avendo alternative, Dorian si rivolge dunque al supremo sacerdote innanzi a lui: «Così sia. In cosa consiste codesto tributo?». «Questo clero t’impone di donare ad Olidammara 35000 monete d’oro, come ricompensa per il grande servizio che ti è stato fatto». L’enorme somma lascia l’intero gruppo a bocca spalancata: nessuno di loro si aspettava una richiesta così elevata per una resurrezione eppure, essendo questo un tempio ad Olidammara, lo strozzinaggio è probabilmente uno dei metodi per accumulare le ricchezze. Dorian è in preda ad un grande conflitto interiore; sembra quasi sul punto di rifiutare, quando infine mormora, la lingua stretta tra i denti: «Va bene. Il tributo sarà pagato». L’incredibile somma di preziosi viene ammassata con cura: oltre a monete di tutti i tagli, anche oggetti ed armi vengono utilizzati per raggiungere il valore finale della ricompensa. I compagni del Chierico si danno da fare come possono, aiutandolo a raggiungere la somma contribuendo anche di tasca loro. Alla fine, il denaro necessario viene raccolto, ed i cinque compagni si sentono incredibilmente alleggeriti. «Perfetto» afferma il Capochierico fissando il mucchio di beni, una nota di soddisfazione nella voce, «ora siete liberi di andare»; poi però si rivolge ancora a Dorian: «tu non puoi ancora lasciare questo tempio». Gli avventurieri lo fissano con sguardo allibito, domandandosi cos’altro dovesse ancora fare il loro compagno prima di poter essere lasciato andare. «Cosa mi trattiene ancora qui?» domanda questi, sforzandosi di mantenere una voce calma e controllata. «Le nostre tradizioni» è la risposta. «Quando un infedele come te riceve un servizio in un giorno di festa, deve rimanere nel tempio e partecipare ai festeggiamenti in segno di rispetto». La notizia fa tirare agli avventurieri un sospiro di sollievo, tutti temendo di dover portare a termine incarichi pericolosi o dispendiosi, allorché Joif chiede: «Quanto dureranno i festeggiamenti?». Il sacerdote non risponde subito, limitandosi a fissarli attraverso la sua preziosa maschera d’avorio, quindi risponde: «Tutta la notte». Dorian si sente mancare: sperava di poter dormire per qualche ora, essendo esausto dopo il rituale di resurrezione, e la risposta del sacerdote infrange le sue speranze come un martello vibrato contro un fragile specchio. Tuttavia non può sottrarsi a quelli che sono i suoi obblighi senza scatenare l’ira di tutti gli occupanti del tempio; accetta dunque a malincuore, dando appuntamento ai compagni all’alba. Questi, anche loro molto stanchi, preferiscono ritirarsi e cercare una locanda ove riposarsi e lenire la stanchezza causata dalle loro innumerevoli fatiche. La ricerca è breve, essendo la città piuttosto piccola, e ben presto raggiungono un’accogliente taverna: ivi si concedono un’abbondante cena a base di carne e birra, dopodiché si salutano e salgono nelle loro rispettive camere. Il sollievo di poter dormire in un comodo letto dopo tante notti passate in un giaciglio è tale che gli avventurieri cadono da subito in un profondo sonno ristoratore, animato da splendidi sogni. Il povero Dorian, nel frattempo, viene portato nell’ampia sala da ballo, dove centinaia e centinaia di creature delle razze più improbabili ballano e cantano, in un vortice di vino, droghe e lussuria; lo sventurato Chierico viene obbligato suo malgrado ad unirsi alla baraonda, ancora fasciato dalla sua imponente corazza che lo rende goffo e lento. L’umiliazione subita è gravissima, ma lui cerca di non pensarci, ringraziando piuttosto Kord per avergli concesso un’altra occasione per adempiere ai suoi doveri di sacerdote guerriero. “Per lo meno adesso siamo di nuovo uniti” pensava, mentre tentava di muoversi nonostante le placche di metallo lo impacciassero, “ma quale destino ci riserverà il futuro? Chissà... solo proseguendo il nostro viaggio potremo scoprirlo...”.
Fine del Prologo Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:03
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